La sicurezza dei politici è un’utopia
| di Antonio CalicchioI mezzi di comunicazione, in generale, e i social network, in particolare, si interessano esageratamente dei politici, pensando che i cittadini si occupino di ciò che essi fanno. Ma esistono motivi più radicali che chiariscono questa esagerazione.
Anzitutto, i politici manifestano una eccezionale sicurezza in merito alla correttezza e alla bontà dei loro programmi. Ed infatti, per operare, occorre essere sicuri delle proprie capacità, tanto più quando la condotta riguarda il governare o il presentare un progetto di azione: un politico indeciso non raccoglie consensi elettorali.
Però, la sicurezza dovrebbe indicare che il soggetto sicuro viene guidato da un giudizio vero in ordine alla realtà. Ed invece, la nostra epoca si è accorta che, in una “società liquida” (secondo l’immagine metaforica di Bauman) e mutevole, fluida e vacillante, non può darsi verità incontrovertibile ed assoluta. E’ pur certo che di persone sicure, ancora ne esistono, ma è altrettanto innegabile che la cultura contemporanea sa che la loro sicurezza risulta pretestuosa e priva di fondamento. Il pensiero filosofico e quello scientifico sono ben consapevoli dei limiti e della filosofia e della scienza. Il diritto sa che ogni sentenza è fallibile e, quindi, impugnabile; l’arte ritiene non essere più l’autentica custode della verità; la psicologia è convinta che chi pensa di avere sempre ragione è un malato mentale; la morale si adatta ai tempi correnti; l’economia si affida alla scienza e alla tecnica, vale a dire a quelle incertezze che si sono rivelate più forti delle antiche certezze.
Solamente la politica ed i politici conservano e ostentano il comportamento dogmatico del religioso, cioè di colui che non deve essere attraversato da alcun dubbio circa la propria fede, benché si verifichi quella condizione per cui quanto più un politico appare certo di avere la verità relativamente alle questioni dell’amministrazione pubblica, tanto più i suoi avversari lo reputano un illuso o un disonesto. E una simile condizione rappresenta la caricatura di ciò che avviene ai dibattiti che oppongono i pensatori tradizionali. Ed infatti, la grande politica della tradizione dell’Occidente, ormai, al tramonto, è stata una filiazione della filosofia classica. Tanto che il politico attuale è bensì – non di rado – un sopravvissuto ad una dimensione che non esiste più, ma se ciò non lo si sa, è comprensibile che la sicurezza da lui esternata, in una società sempre più insicura e volatile, abbia ancora credito. Del resto, pare che non solo gli odierni politici, ma anche gli strumenti di comunicazione di massa siano vittime di una svista. In un’area, ormai, planetaria, i mezzi si stanno tramutando in scopi. La tecnica, ad es., che nei Paesi dell’Est doveva essere il mezzo per attuare il comunismo marxista, è divenuta lo scopo di quest’ultimo, e il comunismo si è spento.
Analogamente, sebbene in maniera meno evidente, sta succedendo per il capitalismo liberale. Finché gli scopi si ponevano come l’adeguazione dell’individuo al “vero” ordinamento del mondo, detto ribaltamento – nell’ambito del quale il mezzo diviene scopo – era impossibile.
La democrazia, a sua volta, è il grande mezzo insurrogabile che si è mostrato tale per raggiungere gli scopi, fra loro contrastanti, delle persone. Ciascuno scopo afferma: “Purché io sia conseguito, allora applichiamo pure la democrazia”. Ed invece, nelle democrazie dell’Occidente si sta attestando l’atteggiamento che asserisce: “Purché la democrazia sia realizzata e sopravviva, allora si voti pure per qualunque partito che garantisca siffatta sopravvivenza”. Nel primo caso, la democrazia è il mezzo, nel secondo, diviene lo scopo, al punto che le differenti posizioni politiche sono relegate a mezzo e destinate, al pari di ogni altro mezzo, a consumarsi.
Orbene, la politica tende a identificare, nel tempo attuale, la sua attività con la democrazia; ossia tende – e qui consiste la sua svista – a confondere il nesso fra la sua attività e gli scopi che si propone, con quello fra la democrazia e i contrapposti scopi politici che intendono valersi di essa come mezzo e che sono, per contro, essi a divenire mezzi esauribili. La democrazia sta divenendo lo scopo dei valori politici, ma la politica ed i politici si illudono che sia la loro attività, avente, come scopo, quei valori, a dover divenire lo scopo della vita sociale: un’utopia che gli strumenti di comunicazione sociale prendono sul serio.
I mezzi non si estinguono e divengono scopi quando sono – relativamente – insostituibili; e così la tecnica, la democrazia. Però, oggi, l’attività politica è sostituibile per definizione, ha intorno una pluralità di soggetti alternativi che si dichiarano più idonei e più veri e che, con la loro esistenza, si affievoliscono reciprocamente e si logorano. Ma l’asprezza della realtà, farà uscire dall’utopia.
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