La taranta del Lupo nella Cala del Marcellino: il Cilento che incanta
| di Luigi MartinoNascosta dalla macchia Mediterranea più fitta, tra i Comuni di Camerota e San Giovanni a Piro, immersa nell’Area Marina Protetta Costa della Masseta e degli Infreschi, abbracciata dal Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, troviamo la Taverna del Lupo, un luogo unico che racconta il Cilento selvaggio, quello che combatte ancora. E incanta.
E’ accessibile via mare, in barca. Pochi sanno davvero come raggiungerla a piedi, attraversando il vallone che funge da confine tra due località padrone del turismo del Mezzogiorno. Tra questi c’è Saverio, il «Lupo». Colui che da generazioni accoglie flotte di turisti e racconta la storia di questo posto attraverso il cantico ‘A’ Muntagna’.
Nonna Maria, suocera di Saverio, cucina delle pietanze Cilentane con le ricette di un tempo. L’accompagnano Luana, figlia di Saverio, e Maria, la moglie. Tante mani sapienti toccano i prodotti che Saverio coltiva a pochi passi dal mare, e li trasformano in prelibatezze. Le persone si catapultano da ogni parte d’Italia pur di degustarle.
Le ombre di Saverio sono due, piccole e sveglie. Si chiamano Gregory e Daniel, e sono i suoi nipoti. Non lo lasciano un secondo e leggono le labbra del nonno fissando i suoi occhi. Il gregge delle capre, che producono un latte squisito, segue tutti e tre. Si gettano in mare, assaporano le erbe del vallone e poi si sciacquano la bocca con la salsedine. «Per questo il formaggio è così buono» spiega Saverio.
Un’antica leggenda narra che la Ninfa Bulgheria, figlia di Zeus, deliziosa divinità minore, simbolo della forza vitale della natura, avesse il compito di sovraintendere alla parte più meridionale del Cis Alentum (ora Cilento), vasto territorio caratterizzato da un’altra montagna di dolomia (a cui i monaci attribuiranno molti secoli dopo il nome della ninfa) e da un’erta e scoscesa costa che dalla montagna si getta nel mare attraverso ampi gradoni (tratto di costa ora noto come Masseta).
Da tempo immemorabile era usanza delle divinità recarsi – nel periodo estivo – in un vasto spazio prossimo al mare, protetto da una lussureggiante vegetazione di elci, carrubi, erica, mirto, corbezzoli, rosmarino e cespugli di lentisco, posto alla fine di un ripido valloncello (ora noto come Cala del Marcellino) per mangiare, cantare e danzare in onore degli Dei dell’Olimpo, confidando nella loro indulgenza e benevolenza. Per attirare l’attenzione veniva utilizzato un antico cantico propiziatorio noto come ‘A’ Muntagna’.
La stessa leggenda narra che Pan, il dio Pastore e dio dei Pascoli, aveva affidato – nella notte dei tempi – ad una brava famiglia di caprari che pascolavano da sempre il loro gregge nel valloncello in argomento, il testo del cantico perchè venisse tramandato gelosamente da padre in figlio. Oggi tale memoria è passata da un uomo nominato «Lupo» che, sempre nella spiaggia di Marcellino, mantiene viva l’antica tradizione di ritrovo festaiolo e di collegamento con il mondo misterioso degli Dei.
Accompagnandosi con un’artistica fisarmonica e con il ritmato suono dei tipici tamburelli cilentani, con la voce rotta dall’emozione, il «prescelto» da Pan intona l’antico cantico ‘A’ Muntagna’. Nonostante solo poche parole siano comprensibili ad orecchie umane, questo cantico entra nell’anima, emoziona e fa pensare. Dopo averlo ascoltato non si è più gli stessi.
Così volle la ninfa Bulgheria, così comandò Pan, il dio dei pastori, e così esegue da anni il «Lupo», al secolo Saverio, mantenendo fede all’impegno assunto nella notte dei tempi dai membri della sua famiglia. «Il mare mi parla, la montagna mi sussurra» così ripete il «Lupo» ai turisti e dopo giornate di cucina Cilentana, lavoro con gli animali e taranta, il «Lupo» torna nella sua tana, solo, insieme al mare e alle stelle, chiude gli occhi e sogna. Sogna Pan, la ninfa Bulgheria, il nonno e suo papà che vivono per sempre in mezzo a quegli alberi, guardiani di un posto magico.
Foto ©Nuccio Mastrogiacomo
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