La tomba del re Alarico, «e l’ipotesi della sepoltura nel fiume Bussento»
| di Redazionedi Angelo Gentile
Lo scritto più antico che riporta l’episodio è di 380 anni posteriore alla morte del re dei Goti Alarico e al suo seppellimento, a cavallo e circondato da un tesoro incredibile. Per chi non conosce i fatti, o li ha semplicemente dimenticati, li riassumo brevemente.
Col trasferimento della capitale da Roma a Bisanzio da parte dell’imperatore Costantino, le città italiane subirono un regresso, già avviato da una crisi economica che trovava la sua punta nell’agricoltura: la piccola proprietà era stata fagocitata dal latifondo che a sua volta era lasciato incolto per mancanza di mano d’opera e di schiavi. Gli alti costi della produzione, la diminuzione della mano d’opera agricola a seguito dell’urbanizzazione, il vuoto di potere, la mancanza di ideali, lo spregio per i lavori campestri non contribuì a debellare la crisi, anzi la mancanza di scambi, causò l’abbandono della manutenzione delle opere pubbliche e prima tra tutte le strade, i porti. Tutto ciò con la pressione pericolosa ai confini di tante popolazioni “barbariche”: le invasioni di quest’ultime diedero il colpo di grazia all’agricoltura perché le atterrite popolazioni si dispersero sui monti o si arroccarono in posizioni vantaggiose alla difesa, consapevoli che l’unica legge era quella del più forte. Le zone pianeggianti e fertili vennero abbandonate e ben presto si trasformarono in distese paludose e malariche, evitate, poi, per secoli dalle popolazioni. E’ inutile dire che le coste subirono la stessa sorte e solo nell’Ottocento si ripopolarono anche a seguito di bonifiche.
Le prime orde a lasciare morte e distruzione, nel nostro Cilento, furono i Visigoti di Alarico dopo il sacco di Roma del 24 agosto 410 d c. La moltitudine al suo seguito era composta non solo da guerrieri goti, ma anche da migliaia di schiavi liberati e da chiunque fosse non romano. La direzione presa dalle turbe era quella dell’Annia-Popilia in direzione Reggio intendendo il re imbarcarsi per l’Africa, ritenuta il granaio di Roma. Questo perché era diventato impossibile uno stanziamento del suo popolo a nord-est delle Alpi, come era nei desideri del re. Nella discesa verso sud, il variegato “esercito” di Alarico si abbandonò al saccheggio delle terre circostanti la direzione, saccheggio forzato dalla necessità di sfamare tante decine di migliaia di persone e anche per desiderio di rapina. Ad esempio Anglona, Fulgentium furono distrutte: di quest’ultima i pochi abitanti scampati la ricostruirono con il nome di Laurito. Si può ipotizzare un doppio percorso dell’orda: i carri con il bottino (Roma fu orribilmente saccheggiata per tre giorni e solo le chiese si salvarono per volere del re) e i familiari avranno seguito il percorso della consolare Annia, cioè lungo il Vallo di Diano direzione Cosenza, invece, i guerrieri e gli abili al combattimento si saranno disposti su un ampio fronte lungo lo stesso verso, per procurare cibo e prede, quasi un’enorme rete a strascico che lasciò dietro di sé desolazione e deserto a sud del C. Questi goti una volta arrivati alla fine del Vallo di Diano seguito il percorso per Cosenza, non disdegnarono anche gli sbocchi meridionali dello stesso: uno in direzione di Molpa Palinuro per la valle del Mingardo e l’altro per la valle del Bussento verso Policastro anche per raggiungere gli insediamenti romani a mare e le “villae” sparpagliate nell’alta valle del Bussento di cui esistono tracce ancora non del tutto conosciute.
Gli storici Paolo Diacono, Jordane e Cassiodoro offrono notizie frammentarie su Alarico: la flotta che doveva imbarcarlo per l’Africa, naufragò per una burrasca, in un periodo “nero” per i naviganti, costringendolo a rivedere i suoi piani e a risalire la penisola. A questo punto sorgono domande: come si è procurato la flotta Alarico? Percorse la stessa strada, l’Annia, dell’andata? Il re visigoto, per la flotta, avrà utilizzato parte dell’enorme bottino e comprare/fittare le navi necessarie e i relativi equipaggi per le manovre? Lungo il percorso esistevano diverse città marine quali Napoli, Agropoli, Elea, Molpa, Buxentum che potevano permettere di realizzare il progetto; poco probabile che sia andato a Cosenza per ottenere il legname necessario alla costruzione delle navi e trovare gli artigiani capaci di ciò. A parte il tempo necessario per l’abbattimento, il trasporto, con il legname fresco non si può costruire natanti decenti e oltretutto serve altro materiale non reperibile in tempi brevi (da fine agosto a dicembre). E’ più sensata l’ipotesi del fitto o al massimo del sequestro nelle città costiere. Per la seconda domanda, dopo il naufragio, e quindi l’impossibilità di recarsi in Africa, è poco probabile che abbia risalita l’Annia perché avrebbe trovato le campagne già spogliate dal precedente passaggio, le città già depredate poco prima. Facilmente la gran turba dei Visigoti risalì per altri itinerari tenendo conto il freddo invernale delle zone interne: o lungo le coste ioniche o lungo il litorale tirrenico, seguendo i resti della flotta. E il re accompagnò queste persone o salpò con i suoi fidi e l’enorme tesoro frutto del sacco di Roma e di altre città? Alarico non stava bene, pare avesse contratto la malaria, nella forma più maligna e per un viaggio più tranquillo il cavallo è da escludersi, il carro sarebbe stato più comodo, ma poco dignitoso per un re così orgoglioso: come avrebbe potuto farsi vedere su un carro con i vecchi e le donne colui che aveva conquistato Roma? Credo che preferì il viaggio via mare per risalire la penisola e raggiungere quella parte dell’Impero che aveva sempre richiesta per far prosperare il suo popolo. La malaria lo uccise in poco tempo dopo un’incubazione che sarà durata 18 giorni.
Le poche notizie degli storici parlano di una particolare sepoltura destinata al re, un fiume fu deviato e nel letto asciutto fu scavata un’enorme buca- cella funeraria- per deporvi Alarico col suo cavallo e il tesoro intorno. Dopo la copertura della buca e il ritorno del fiume al suo naturale percorso, tutti i testimoni estranei ai visigoti che avevano partecipato ai lavori furono uccisi per non svelare il posto. Solo pochi capi conoscevano il luogo della sepoltura affinchè nessuno disturbasse il sonno di Alarico e rubasse il tesoro.
Quale fiume? Il Busento in Calabria, il Basento in Basilicata o il Bussento nel Cilento? Difficile dirlo. Le fonti più antiche indicano il Busento, ma lo storico è vissuto tre secoli dopo i fatti, raccontati di persona in persona ed arrivati sino a lui: basta poco per confondere uno dei tre fiumi che hanno quasi lo stesso nome, così come scriverlo.
Secondo i più, Alarico (e le migliaia di guerrieri, familiari e schiavi liberati) è disceso per l’Annia-Popilia per procurarsi il legname in Sila, dopo il naufragio è risalito per la stessa strada. Se questa è la verità non si è tenuto conto di una serie di fattori importanti relativamente alla risalita: 1) Alarico non era in grado di procedere a cavallo; 2) la strada del ritorno non può essere la stessa dell’andata; 3) la stagione invernale. Esaminiamo la prima, se Alarico ha usato la flotta residua per spostarsi, è sbarcato in un porto del Tirreno, escludendo quelli ionici, o all’altezza di Cosenza o a Buxentum o a Molpa. Perché la strada non potè essere la stessa è stato già detto, di che avrebbero vissuto? Il grosso dei Visigoti lungo la costa, sulla scia delle navi residue, o verso Crotone-Sibari o lungo il Tirreno: esistono strade istmiche usate dai greci e dai lucani che collegavano le coste tirreniche a quelle ioniche all’altezza di Cosenza o di Policastro permettendo di evitare l’Annia per i motivi sopracitati. Per la terza domanda, i fiumi dell’Italia meridionale hanno la caratteristica del pieno delle acque nella stagione invernale, come si sarebbe potuto deviarne il corso, scavare una buca enorme e ripristinare il letto del fiume senza correre il rischio che le acque impetuose non scavassero tutto? A Cosenza esiste il Ponte di Alarico che ricorda, seguendo la lezione di Paolo Diacono, all’incirca il luogo della sepoltura, ma i numerosi scavi, dal Settecento in poi non hanno dato risultati. La sepoltura va ricercata su un altro fiume? Il Basento oppure il Bussento cilentano. Quest’ultimo meglio si presta alla deviazione, anzi è ancora visibile un paleo letto diverso dall’attuale, inoltre le sponde sono ricche di grotte e profonde spaccature ed è famoso proprio per gli interessanti fenomeni di circolazione ipogea in continuo assestamento. E ancora, esisteva lì vicino il porto per l’attracco delle navi e anche la strada istmica che avrebbe permesso a chi si fosse incamminato sulla via del ritorno lunghe le coste ioniche di ricollegarsi sul versante tirrenico alle navi e a chi li comandava. E’ da considerare, infine, che la vicinanza della città di Cosenza avrebbe creato problemi per testimoni involontari, meglio una zona poco popolata.
Ovunque sia il sepolcro, e il tesoro, non è stato ancora trovato.
* Nel 1998 l’allora sindaco di Morigerati, Guido Florenzano, mi pose un quesito a cui non seppi rispondere subito. La domanda era questa: dov’è la tomba di Alarico? Si potrebbe pensare che il Busento sia da intendersi Bussento? Mi misi al lavoro, iniziando da due documenti, il primo, la “tomba nel Busento”, ballata del poeta August Platen conte von Hallermunde, traduzione di Giosuè Carducci, conosciuta da tutti gli studenti italiani che hanno letto “Rime Nuove”; il secondo, il testo “Storia dei Longobardi”, edizione della Laguna, tipografia de Ferrari, 1543.
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