«Le canzoni di Zanika» di Antonio Valioni: un viaggio poetico tra gli invisibili
| di Marianna ValloneLe canzoni di Zanika (G.C.L. Edizioni) è un potente grido di dignità e umanità che attraversa i margini della società per raccontare la storia di chi vive nell’ombra, lontano dagli occhi distratti del mondo. Attraverso una voce poetica, Antonio Valioni, giovane autore di Casaletto Spartano, ci conduce nei vicoli di Bologna, sotto i portici e tra le panchine dei parchi, seguendo le orme di Zanika, un clochard che trasforma la sua esistenza in un diario di emozioni e riflessioni universali.
Le poesie di Valioni si fanno carne e respiro, trasportandoci nella quotidianità di Zanika, che diventa lo specchio delle nostre contraddizioni e della nostra indifferenza. Dietro il suo nome, scelto dalla madre per evocare la forza di un lupo, si cela un uomo segnato dalla perdita e dalla lotta, ma anche dalla capacità di sognare e di amare. Un’opera che lascia il segno, una lezione di empatia e resilienza da leggere e rileggere. Perché, come ci ricorda il poeta, a volte chi sembra avere meno è colui che possiede tutto ciò che conta davvero.
Zanika è un personaggio complesso, un clochard che vive ai margini della società. Cosa ti ha spinto a scriverne?
La scelta di questo personaggio, che alla fine rappresenta un po’ lo stato sociale economico della popolazione afflitta da questa povertà, ma il libro non rappresenta la povertà economica, intendiamoci, ma la povertà d’animo, io non voglio essere e ripeto non voglio essere un giudizio verso gli altri, ma bensì un opportunità di crearsi un legame tra di te e il tuo obbiettivo personale.
Nelle poesie emergono temi forti come la solitudine, la lotta per la dignità e l’amore. Perché hai scelto di trattare queste tematiche?
Ho scelto di trattare queste tematiche per cercare una sorta di conciliazione con me stesso.
Zanika è un personaggio che nonostante la durezza della vita conserva una certa leggerezza. Qual è il messaggio che vuoi trasmettere attraverso il suo modo di affrontare le difficoltà?
Zanika, purtroppo, non ce l’ha fatta alla fine, ma il messaggio che ci lascia con le sue parole è questo: amatela.
La città di Bologna sembra essere un altro personaggio più che lo sfondo, con i suoi luoghi e la sua atmosfera. Perché questa città?
Bologna, per me, è una di quelle “città libere”, una fonte di cultura e solidarietà. È un luogo che rappresenta, a mio avviso, una vasta zona di immigrazione culturale, se così possiamo definirla.
La lettera di Zanika a sua cugina Monica è un atto di comunicazione, forse l’unico modo in cui può esprimere i suoi sentimenti più profondi. Quanto è importante la scrittura per Zanika e per te come autore?
La scrittura è fondamentale. È l’unico modo per superare e affrontare quei pensieri che, se non espressi, possono divorarti dall’interno. Io, personalmente, pensavo che fossero gli altri a uccidere l’Io, ma ho capito che il vero pericolo sta nel coltivare un malessere irrisolto, che rischia di diventare eterno. Per Zanika, invece, la scrittura era una lente attraverso cui osservare il mondo in cui viveva, un mondo che sembrava fatto solo della sua mente. Paradossalmente, pur non avendo niente, riusciva a intravedere la speranza.
Il libro è attraversato da un forte senso di speranza, nonostante le difficoltà. Pensi che la letteratura possa essere uno strumento per combattere l’indifferenza sociale e portare un cambiamento nella percezione della marginalità?
No, non credo che la scrittura debba essere uno strumento. Per me, e sottolineo per me, la scrittura deve essere libera. Anche una frase apparentemente priva di senso può avere un significato per qualcuno.
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