Le famiglie di fronte alla malattia mentale, la paura e la speranza in una lettera alla Sir di Torre Orsaia
| di Marianna ValloneÈ la lettera – di paura e speranza – che Silvio, fratello di Lucio (nomi di fantasia), quest’ultimo ospite della Sir, la Struttura intermedia residenziale di Castel Ruggero, ha scritto e inviato alla referente Caterina Speranza. Racconta il dolore, l’angoscia e la forza davanti alla malattia mentale del fratello, sofferente per un disturbo psichico.
Pubblichiamo integralmente la lettera.
Mi sono svegliato molto presto, e come faccio spesso, ho voluto descrivere la giornata di ieri. In tutto questo traspare la mia ammirazione per tutto quello che voi fate per Lucio. Non vuole essere un tributo. Non ne sarei all’altezza, ma mi piace egualmente condividere con voi questo momento così sofferto, estremo ed intenso. Per me è stata una giornata difficile, quasi uno spartiacque della mia vita. In pochi minuti l’ho rivista, avvalendomi di un ipotetico tasto rewind, ho capito di quanto la stessa possa essere bastarda, non offrendo alternative che possano cancellare un tormento, che da ieri credo mi accompagnerà, vita natural durante. È stata una prova durissima, alla quale non eravamo forse preparati. Io tante volte sono arrivato persino ad odiare irrazionalmente Lucio ma ieri ho provato una struggente e parossistica sensazione di tristezza, di pena, di impotenza e sensi di colpa. Lucio il 27 dicembre dello scorso anno venne da me per trascorrere il Natale con noi, era assolutamente scompensato ed io per tutelare me, ma soprattutto la mia famiglia decisi di non ospitarlo. Credo ancora di averlo fatto legittimamente, a ragion veduta, eppure questa cosa ora mi tormenta terribilmente e mette in discussione e affligge il mio animo, forse per sempre. Lucio è oramai una larva ed è giunto al capolinea della sua sfortunata e travagliata vita. Ci ha fatto malissimo vederlo dopo un anno, invecchiato di venti. Ha perso ogni forma di autonomia, non si regge più sulle gambe, il Parkinson lo divora con impressionante voracità, la demenza senile lo avvolge in un abbraccio forte e malevolo e ne decreta un prematuro, doloroso e inesorabile epilogo.
Certe immagini saranno per me e Marco, mio figlio, incancellabili. Ieri quando ci ha visto si è emozionato ed alcune operatrici hanno voluto immortalare questo momento, dopo avermi chiesto la debita autorizzazione. È stato un momento di grande tenerezza ed il suo abbraccio forte mi ha distrutto. Dopo ci siamo trasferiti in una saletta e qui lui ha iniziato a piangere, maledicendo il Parkinson ed a fatica, quasi in loop, ripeteva che di lui oramai non era rimasto più niente. Abbiamo cercato di consolarlo, rammentandogli che alla nostra età, ognuno di noi incomincia ad avere qualche acciacco e che anch’io in questo 2023 ho avuto seri problemi di salute. Con Marco ci scambiavamo cenni di drammatica intesa, ma la sua inedita fragilità struggeva la nostra ancora più fragile impalcatura emotiva. Abbiamo deciso, dopo il pranzo di andare a prendere un caffè a Policastro e fare una passeggiata. Ho fatto scegliere lui. Era la sua giornata. Noi avevamo deciso di essere comprimari. Siamo arrivati a Scario, abbiamo passeggiato, il mare era completamente piatto, i rumori quasi impercettibili, i luoghi stranamente infrequenti, i bar tutti chiusi. Uno scenario inatteso e distopico, quasi da The day after, ma perfettamente allineato al grigiore che oramai ci padroneggiava in modo tirannico. Il caffè lo abbiamo consumato ad un bar, dopodiché abbiamo deciso di rendere visita a mamma e papà al cimitero. Qui Lucio che cercava disperatamente con la mano, oramai assolutamente indipendente e ribelle agli stimoli cerebrali, l’immagine di mamma e papà è stato per noi un altro momento durissimo e di inaccettabile drammaticità. Prima di tornare al Sir ha voluto vedere il suo cane, Diego ( così chiamato in un onore del nostro idolo calcistico di un tempo oramai lontano, anch’esso tradito dal fato beffardo). È stata bellissima ed emozionante la festa che gli ha tributato il suo cane, mentre lui commosso lo abbracciava a suo modo, ripetendogli come un mantra: ” sei stato sfortunato con il tuo padrone, il tuo padrone è tanto malato, hai visto come si è ridotto”.
Nel proferire queste parole le lacrime gli solcavano impietosamente il viso. Io guardavo la scena e guardavo Marco, e sapevo che sarebbe stato difficile, impossibile da descrivere, tratteggiare un momento così, anche per uno scrittore particolarmente ispirato e bravo. Intanto, a posteriori, pensavo che tante volte noi umani dovremmo chiedere scusa a questi animali soprattutto quando per definire un comportamento umano violento o turpe lo rubrichiamo come qualcosa affine alle bestie. Diego in quel momento amava incondizionamente il suo padrone. Per lui non era una persona con deficit cognitivi, con la stigma della malattia mentale, non avvertiva nessun pericolo che potesse derivare dalla sua instabilità. Dopo aver vissuto un altro momento forte e durissimo abbiamo deciso di fare rientro al SIR di Castel Ruggero anche perché lui palesava visibili segni di stanchezza e di malessere tanto da chiedermi di essere accompagnato nel vicino ospedale, approfittando della mia, per lui, rassicurante presenza. Per fortuna riuscivamo a distoglierlo anche perché la sua richiesta era poco convinta e facilmente arginabile.
Quindi, verso le 16 facevamo ritorno al centro, per assicurarlo nelle mani sicure di persone straordinarie che sicuramente lavorano per necessità, ma che il loro lavoro lo disbrigano anche con professionalità, empatia, passione e smisurato amore verso il prossimo e soprattutto verso gli ultimi, quelli ai quali la vita ha deciso di non fare regali. Torniamo a casa, stanchi, emotivamente provati, onusti di sofferenza e di tormenti. È difficilissimo guardare negli occhi mio fratello, che tante volte mi ha fatto soffrire, mi ha fatto arrabbiare, nella piena consapevolezza, che quegli occhi, che la malattia rendeva minacciosi, cattivi, ostili, forse potrei non rivederli mai più. Ora sono io a stare veramente male. Oramai è buio, le giornate sono cortissime, il sole in questi periodi non raggia neanche al mattino. Decido di guidare io, Marco è troppo giovane per poter sopportare questo vortice emotivo. Nei suoi occhi leggo una tristezza abbastanza inconsueta a questa età. Ma lui ha deciso di venire, voleva vedere lo zio, quello divertente, generoso, affettuoso, premuroso di un tempo, quando questo mostro che si chiama disturbo bipolare si assentava concedendo requie al suo, in seguito, imperituro tormento.
Tornando a casa pensavo che ora la mia missione primaria, sarebbe stata quella di contattare i suoi figli per fare l’ultimo regalo al mio sfortunato fratello. Sarebbe bellissimo concludere una storia tristissima (e che nessun essere umano dovrebbe vivere, a prescindere dall’inessenziale collocazione dei ruoli), con un lieto fine, che possa dargli un ultimo e meritato sorriso. Spero che la loro ancora immatura coscienza, possa bastare, al fine di alleviare anche la mia perenne sofferenza. Mi sono addormentato riflettendo e ripercorrendo tutta la mia vita. Ho capito che la felicità totale non potrà mai esistere, ma che bisogna soltanto essere bravi a raccogliere i sogni, le piccole illusioni, le storie della nostra vita, dagli anni che passano e dal fatto che io come tutti sto invecchiando. Onestamente ho sempre pensato di non avere grossi rimpianti, ho fatto cose belle e cose estremamente sbagliate, ma rifarei tutto perché non ho mai danneggiato nessuno, o meglio se l’ho fatto è stato inconsapevolmente. Ma in questo momento, tutto questo non basta a darmi serenità perché ho visto che esistono anche persone come la Dottoressa Caterina Speranza (che dovrebbe essere un modello replicabile) alla quale mio fratello e tutti noi dobbiamo immensa gratitudine per tutto quello che ha fatto e soprattutto per come l’ha fatto. Con amore sincero È bello sapere che in un mondo sempre più frequentato da persone modeste, esistano ancora persone di tal fatta!!!
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