Maurizio Tortora e la sua poesia
| di Rosalia TancrediNel Cilento parlare di Maurizio Tortora equivale a dire “poesia”. E’ conosciuto come “u poeta r’u Ciliento”, colui che, con una penna e un foglio di carta, riesce a tradurre in parole emozioni e colori, profumi e dettagli che rendono unica e ancora un po’ selvaggia questa terra.
Chi è Maurizio Tortora nel quotidiano?
Maurizio Tortora nasce a Napoli il 25/09/1933 da padre cilentano e da madre napoletana. Si laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Napoli, si specializza in Radiologia Medica e Terapia Fisica e inizia a svolgere il suo lavoro di medico tra Casalvelino e Vallo della Lucania. Socio di diverse associazioni sportive, medico sportivo e di bordo, ha pubblicato fin ora trentatré contributi scientifici.
Sin da giovanissimo scopre la sua passione per la letteratura e per la poesia e inizia a partecipare a premi e concorsi letterari di poesia dialettale, classificandosi in posizioni meritevoli.
Nel 1977 pubblica per le Edizioni del Delfino, una silloge di poesie in dialetto cilentano dal titolo Cilientu mia e porta avanti la sua partecipazione ad incontri e premi.
Compone (musica e versi) una canzone dal titolo Canzuncella cilentana, conseguendo il primo posto al concorso “Nuovi Canti Cilentani Agropoli” e nell’agosto del 2000, riceve con la lirica Cilientu il secondo premio al suddetto concorso.
Nel luglio del 2004 pubblica sempre per le Edizioni del Delfino, una silloge poetica in dialetto cilentano dal titolo A Musica mea, con traduzione in lingua e in inglese e con Cd audio di poesie recitate dall’autore.
Il 16 giugno 2010 gli è stata conferita la nomina di socio Onorario dell’associazione A.SS.O.TU.R per la sua “fervida passione e opera culturale rivolta al Cilento e ai Cilentani”, mentre pochi mesi dopo, la Direzione del Mensile di informazione del Cilento “Cronache Cilentane”, in occasione della XX Edizione degli Incontri Mediterranei, svoltasi a Pioppi il 12 agosto 2010, lo premia quale “sensibile e illuminato cantore” dell’anima del Cilento.
Maurizio Tortora vive ad Ascea Marina e non è difficile incontrarlo per le strade del paese sempre pronto a salutare con entusiasmo un amico e magari ad immortalare, di lì a poco, quell’incontro in una poesia o in un acrostico, sua ultima passione.
Non è difficile nemmeno fargli qualche domanda e dar vita ad un’intervista, perché il nome “Cilento” è per Maurizio una parola d’ordine.
D: Perché ha scelto il dialetto per i suoi componimenti?
R: Ho scelto il dialetto perché attraverso esso è possibile esprimere stati d’animo, sensazioni, emozioni, umori, colori, sfumature… in modo pregnante, caratteristico, inimitabile. Ci sono alcuni termini dialettali che tradotti perdono il loro significato originale, così attraverso il dialetto riscopro, ogni volta che scrivo un pezzo, le mie origini, i luoghi che hanno allevato i miei genitori, le tradizioni, le usanze dei tempi passati, i caratteri e le caratteristiche tipiche dei personaggi che popolano la mia terra…
D: Leggendo le sue poesie è possibile, senza sforzi eccessivi, rendersi conto che si serve di termini non utilizzati attualmente e a volte scomodi anche dal punto di vista fonetico. Che tipo di variante dialettale è alla base dei suoi scritti?
R: Il dialetto che utilizzo nei miei scritti è quello cilentano, nella variante asceota di fine Ottocento inizi Novecento, appresa sin da piccolo soprattutto tra i pescatori e i contadini locali e dunque lontano, in alcune forme, dalla variante dialettale asceota attuale. Per questo, i miei componimenti, sono stati spesso oggetto di critica negativa. Ma sebbene tale critica nasce da una constatazione oggettiva, non può considerarsi efficace né tanto meno dimostra che le forme da me prescelte, non siano state utilizzate nel quotidiano dai parlanti dialettofoni di alcuni anni fa o di qualche secolo fa.
D: Ha qualche fonte scritta a sua disposizione o nel rintracciare le forma dialettali si serve soltanto di testimonianze dirette?
R: L’unica fonte a mia disposizione è il “Primo Dizionario Etimologico del Dialetto Cilentano” di Michele Nigro, edito nel 1989. Il resto si basa su esperienze personali.
L’intervista è intervallata da momenti di pausa, durante i quali, l’autore mi legge delle poesie, qualche acrostico e alcune sue versioni di componimenti di autori come Parmenide, Catullo, Virgilio.
D: Chi sono i protagonisti principali dei suoi scritti?
R: Bella domanda questa…I protagonisti dei miei scritti, quelli che più mi fanno divertire, sono quelli che non ho ancora incontrato… Diventare protagonista di una mia poesia è facile perché mi basta uscire per strada, incontrare un amico che a ritorno dalla campagna mi regala tre uova fresche, ed ecco è fatta…basta insomma una sana e pura emozione, quella che la mia terra, il Cilento, ha saputo sempre offrirmi incondizionatamente. Na fronna, li fusilli, lu puorco, li femmene, rui cani, nu vuzzo sono i protagonisti principali dei miei componimenti.
D: Cosa vuole dire ai suoi lettori e al Giornale Del Cilento?
Maurizio rimane per un attimo in silenzio, poi si allontana dalla sua scrivania e tira fuori dallo scaffale alle sue spalle un libro, dal titolo “A Museca mea”. Sfoglia qualche pagina e poi dice: “Ecco…voglio dire questo”…
NU PICCA RI VRIOGNA
Chiddu ca scrivu me vèni ra lu còre
chiddu ca scrivu me vèni ra la mènde
ca pènza sèmbe alla stissa cosa:
l’ammore pi lu munno jè pi’ la vita.
Chiddu ca scrivu ra inda sèmbe lu sèndo
cu ogni parola ca, primma u poi,
la via sèmbe sàpi truvàri p’assire fòra…
La gènde me rici ca la tuocco ra inda
ca cu mmico si sènde ind’a lu munno mio
jè mi rici puro ca chissa cosa bèdda ca me vèni
“puisia” se chiàmma…
Ju nun ci criu picchi pi mmini
chissa parola ghè tando gàuta
ca mai ngi la pozzu fari a la tuccàri…
Fattu ghè ca puri a mmini me piàci ri me lèggia
jè m’arricriu, sèmbe,
cume lu primmu juorno quannu accummenzài…
Ma parimèndi scuòrno assai me micco
cà ju nu vògliu èsse sfuttutu u ‘ngappàtu pi’ fissa
Ra nànde u ra rètu,
pi cui la quala ogni vòta c’all’àutri ricu li penziéri mei,
certuDdiu,
nu picca ri vriògna, ra inda lu còre, sèmbe schiòppa!
UN PO’ DI VERGOGNA
Quello che scrivo mi viene dal cuore.
Quello che scrivo mi viene dalla mente,
che pensa sempre alla stessa cosa:
l’amore per il mondo e per la vita.
Quello che scrivo da dentro sempre lo sento
con ogni parola, che prima o poi,
la via sempre sa trovare per esternarsi…
La gente mi dice che la tocco da dentro,
che con me si sente nel mio mondo
e mi dice anche che questa cosa bella che nasce in me
“poesia” si chiama.
Io non ci credo perché per me
questa parola è tanto alta
da non riuscire mai a toccarla,
fatto è che anche a me piace leggermi
e gioisco sempre,
come il primo giorno quando incominciai…
Ma parimenti ho molta vergogna perché
la parola “poeta” fa sempre ridere a questo mondo
e io non voglio essere preso in giro o considerato uno sciocco, né davanti né alle spalle,
per cui ogni volta che agli altri esprimo i miei pensieri,
davanti a Dio,
un po’ di vergogna, da dentro il cuore, sempre esplode!
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