Libertà versus razionalità
| di RedazioneIl dilemma del pensiero unico tra etica, diritto, arte e religione
di Antonio Calicchio
Nel carrozzone culturale dell’Occidente, si esige che riusciamo a parlare simultaneamente due linguaggi contrari: uno, dice che, se vogliamo essere davvero umani, allora dobbiamo cercare di essere completamente liberi; l’altro, che, se vogliamo essere razionali, allora dobbiamo accettare di essere completamente condizionati.
Il primo linguaggio istruisce la politica e parla secondo la grammatica della libertà, quale valore assoluto: tutto deve essere scelta, decisione, autocoscienza, autonomia, creatività; nella sua dimensione ideale di riferimento, l’uomo è individuo senza vincoli in cui la regola aurea per costruire regole è: “la mia libertà finisce laddove inizia quella dell’altro”.
La seconda grammatica parla il linguaggio della scienza in cui si lascia intendere che le pretese di libertà e di autodominio sono destinate a crollare sotto i colpi di un sapere rigoroso che rivela le condizioni pre-umane e post-umane (biochimiche, neurogenetiche, ecologiche, cibernetiche) dei nostri comportamenti, volontà, pensieri. E la conoscenza di questi determinismi svelerebbe non solo le cause, ma anche il senso del mondo umano che – sino a ieri – abbiamo riconosciuto come mondo dello spirito, della coscienza, del pensiero. Cioè il mondo della libertà creativa e della legalità di senso. Non pensate solamente alla morale e alla religione, ma vale pure per il diritto, l’arte, i rapporti sociali, l’educazione, l’affinamento dello spirito, la grandezza d’animo.
Mi sembra evidente che questa pretesa di un pensiero unico che ci prescrive di tenere gli opposti diffonde disagio ed è causa di aggressività e frustrazione. E quella strana politica della libertà ci appare illusoria; cerchiamo di desiderarne di più in quanto ci sentiamo sempre più incarcerati. Contemporaneamente, ci lamentiamo perché pensiamo ve ne sia anche troppa, per chi, oramai, fa quello che vuole. E siamo tentati di rifugiarci nelle certezze e nelle risorse tecnico-scientifiche. Siamo ben consapevoli che le loro soluzioni sono di livello più basso rispetto alle attese che nutriamo nei riguardi della politica e della società. Ma – si dice – almeno possediamo qualcosa di certo (purtroppo, non tanto certo).
Il messaggio subliminale che ci perviene da quelle parti contiene, peraltro, un veleno nella coda. Probabilmente possiamo offrirti più gradi di benessere – ci dicono – ma devi rinunciare ai valori che hai coltivato fin qui: altruismo, affetti, senso della vita e della morte, dignità del sacrificio ed onore della giustizia, e numerose altre qualità ancora, come l’etica. Si tratta soltanto di calcolare vantaggi e svantaggi del destino, genetico ed ambientale, che ti è assegnato, e giocarteli con la migliore astuzia possibile.
Però, né la politica, né, tantomeno, la scienza sono sorte in questo modo, né potrebbero esistere in questo modo. Il fatto è che sono a parlare le parti di un “pensiero” rozzo e prepotente, elaborato dalla economia che si è poggiata, come un parassita, alla politica e alla scienza. Ora, siccome politica e scienza hanno perduto dimestichezza col “pensiero” (per non parlare di musica, poesia e, in linea generale, delle narrazioni della vita concreta degli uomini), esse sono divenute poco scaltre nel riconoscere il cattivo pensiero che le abita.
E l’etica, il diritto, l’arte, la religione? Certo, di parassiti ne hanno contratti. Eppure, anche oggi l’esistenza di un pensiero, abbastanza sofisticato e scaltro da non cadere nella trappola dei due linguaggi parassiti, è corposa. Cospicue correnti culturali pongono in luce la improponibilità di un umanesimo che intenda costruirsi annullando l’ascolto dell’esperienza che emerge da ciò che è buono, da ciò che è giusto, da ciò che è bello, da ciò che è sacro. E se, da un lato, è necessario che etica, diritto, arte, religione resistano alla tentazione di una concezione del mondo fondata esclusivamente sull’economia, dunque, sull’ “utile”; d’altro lato, è altrettanto necessario che si disincantino dal fasullo interlocutore che tromboni mediatici indicano come ambasciatore della ragione politica e scientifica che pretende di rappresentare l’umano che avanza.
Ed infatti, è una stagione veramente drammatica quella che stiamo attraversando in cui violenza, razzismo, odio tentano di destabilizzare qualsiasi ordine umano e sociale; stagione dalla quale verremo fuori soltanto ricollocando, nel cuore degli eventi della nostra storia, la bontà, la giustizia, la bellezza, l’arte, la musica, la poesia in cui risiede la fonte di quel “potere” che rende l’individuo un “essere umano”.
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