La porno-filosofia di Luciano Castellano
| di Giuseppe GalatoCome si fa a coinvolgere una classe indisciplinata a seguire una “noiosa” lezione di filosofia? Luciano Castellano ce lo illustra nel suo “Filosofia Di Classe” fra un porno-Schopenhauer, Feuerbach in salsa gay e Marx e Nietzsche intenti a frequentare Makπ e gite “distruzione”.
Scritto con toni colloquiali e ironici e con varie sferzate dialettali (tanto da poter ricordare per l’impostazione il più famoso “Io Speriamo Che Me La Cavo”), fra un riferimento al mondo del calcio ed uno a quello del sesso e dell’amore, tematiche che Castellano individua come alcune fra le principali fonti di interesse dei propri alunni, troppo distratti da un sistema telematico sempre più oppressivo fatto di pochezza culturale, di “Grandi Fratelli” e soubrette, di macchine costose, soldi e potere, il professore di filosofia lavora su più metri: se da un lato trasmette al lettore, in una maniera del tutto ludica e piacevole (un po’ come già accaduto nei trattati filosofici di Luciano De Crescenzo), concetti basilari della filosofia, dall’altro “Filosofia Di Classe” può essere accreditato come un “vademecum del professore”, essendo una sorta di romanzato trattato pedagogico su quello che è (o dovrebbe essere) il compito di un insegnante, e cioè coinvolgere gli alunni e far arrivare i concetti piuttosto che inacerbire il loro interesse (già di per sé annichilito da una società che programmaticamente tende a distruggere la cultura in modo da poter creare degli uomini-macchina con limitato libero arbitrio) con misere lezioni accademiche pro-voto.
«Gli studenti sono gli elettori di domani. Ritroveremo i furbi, gli scansafatiche, gl’impreparati, i mediocri incapaci di pensare con la propria testa a votare per i lestofanti».
Ma il “lavoro” di Castellano come comunicatore (prima con i propri studenti e poi con il lettore) non si ferma alla riflessione filosofica tout court. Perché Castellano, partendo dall’analisi dei concetti filosofici, li attualizza, li rende odierni e li applica alla realtà oggettiva: ne esce fuori una riflessione sulla nostra cultura contemporanea, sulla politica, sulla religione, sui valori di una società, quella occidentale, in repentino decadimento.
«Solo con lo studio, solo con la conoscenze critiche si può evitare di essere strumentalizzati da destra, sinistra e dal centro. Un cervello allenato con la cultura può salvarci, per esempio, dagli slogan partitici, dalla dittatura televisiva».
Nonostante la forma un po’ acerba ed alcune esagerazioni nell’uso della volgarità (a volte consona al contesto, a volte del tutto gratuita) come vettore sociale per far cogliere il messaggio in maniera diretta, da bar, creando un rapporto più umano con l’interlocutore, “Filosofia Di Classe” è un libro da premiare per la tenacia di una persona, Luciano Castellano, che non si arrende di fronte ai muri che possono crearsi nella comunicazione (e di questi tempi sono forse più che mai alti) ma cerca una via alterna per arrivare al proprio interlocutore. Alunno o lettore che sia.
«Eppure a questi scaldabagni, alle cellulariste senza vocali, alle chiacchiaresse cornacchie io voglio bene, benché non apprezzino la filosofia. Perché abbandonati da una società, da un mondo politico che non scommette sul futuro, sull’avvenire dei giovani. Perché la scuola superiore, in attesa di una vera riforma organica, è un malato terminale. Perché mi appaiono fragilini sotto l’aspetto emotivo, nonostante l’apparenza e il loro fisicaccio; già precari in tutto a diciotto diciannove anni. Forse, se non cambierà qualcosa, i miei studenti saranno, tra dieci, massimo venti anni, i badanti dei cinesi, degli indiani, i “polacchi” dei giapponesi».
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