«L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro»
| di Antonio CalicchioE’ sommamente importante che ciascuno esegua un lavoro ed un suo lavoro: solo così ne può derivare un benessere morale, economico e sociale
“Il lavoro dell’uomo – qualunque lavoro, materiale o intellettuale – è un atto della persona umana; ogni lavoro ha il suo valore umano ed ogni lavoratore ha la sua dignità di persona umana”. (Giovanni Paolo II, Parole sull’uomo)
La riflessione sopra evocata è riportata nel volume di Giovanni Paolo II, Parole sull’uomo, a cura di Angelo Montonati, con prefazione di Vittorio Messori, pubblicato dalla BUR, nel 1989, nella quale riflessione sono compendiati dei principi centrali in materia di lavoro, in forza dei quali appare agevole comprendere perché al lavoro va attribuita la primazia in confronto del capitale e qualsivoglia bene generato. Il capitale, quale insieme dei mezzi produttivi, è un mero strumento, laddove il lavoro è causa principale, che è riconducibile all’uomo e alla sua dignità: mediante il lavoro, l’uomo si autorealizza, esibisce la sua identità e, al contempo, contribuisce a far progredire la società, sia per i beni materiali, che sa fabbricare e porre a disposizione di tutti, sia per i valori morali, che accrescono la collettività sociale, favorendo il perseguimento dell’interesse generale.
Sin dalle epoche primordiali, il soggetto ha fatto ricorso al lavoro, per assicurare la sua sussistenza e quella della sua famiglia.
Quest’ultima, a sua volta, trova nel lavoro l’appoggio, per il suo sviluppo e la sua unione, l’elemento fondamentale, che ne orienta la vita, la qualifica, le imprime la sua direzione e rappresenta un fattore di saldezza e compattezza.
E la stessa dignità umana, come detto, si esplica primariamente nel lavoro, in specie, oggi, allorché il sempre più veloce cammino della tecnica rischia di assoggettare il lavoratore, segregandolo ed imprigionandolo. Sennonché, va configurandosi il reale pericolo di una c.d. neo-schiavitù del lavoro, effetto di una struttura produttiva, nella quale viene sempre meno coinvolta la persona, con le sue capacità di intrapresa e responsabilità. E la risposta a siffatta tensione problematica riposa non tanto nel rallentamento o perfino nell’arresto del percorso della tecnica, quanto piuttosto nel costante impegno di riqualificazione del lavoratore e nella edificazione di maggiori spazi al suo intervento responsabile e cosciente nell’amministrazione dell’azienda.
Il lavoro è bensì faticoso e talvolta tedioso, implicando una soggezione dell’essere umano alla sua prestazione d’opera, materiale o intellettuale: le macchine e l’organizzazione tecnica della produzione prevedono norme oggettive alla attività del singolo, che impediscono il compimento della sua personale abilità inventiva ed espressiva. L’innovazione tecnica, ivi inclusa quella cibernetica, determina non di rado l’annichilimento delle attitudini acquisite e l’esigenza di riprendere ex novo la propria qualificazione professionale, in consonanza alle mutate caratteristiche dell’ordinamento del lavoro.
Né deve essere tralasciata la circostanza che i rapporti economici sono mediati dal danaro, nel senso che il riconoscimento effettivo dell’apporto di ciascuno al bene comune si sostanzia in un potere d’acquisto. In questa cornice, i rapporti economici si traducono anche in rapporti di potere, potenzialmente e attualmente conflittuali, in cui le singole categorie propendono a vedere e reclamare esclusivamente i propri diritti o, più precisamente, il proprio personalistico guicciardiniano “utile particulare”.
Per questo, il lavoro si mostra come una realtà meno favorevole e libera di quanto una disamina corriva potrebbe far ipotizzare. Si consideri, altresì, un ulteriore riflesso complessivo, vero e indiscutibile del lavoro, sovente trascurato: il lavoro è pure l’attestazione della finitudine dell’uomo! Finitudine dell’uomo che postula il contributo di tutti gli altri, per soddisfare i bisogni essenziali della propria esistenza. Ma anche finitudine della impresa collettiva degli uomini, che non può mai raggiungere lo scopo di creare tutto ciò che è indispensabile alla vita di ciascuno. Ed invero, l’individuo non vive solamente né di ciò che può costruire, né tantomeno di pura ragione, come indicava Kant, il quale, in diverse occasioni, ne aveva pensato i limiti. Ma l’uomo assomma in sé aspettative, attese, speranze, sentimenti, immaginazione, esperienze.
Donde scaturisce che deve essere promossa, attraverso ogni ragionevole strumento, un sempre più completo affrancamento dell’uomo dai vincoli, che ancora lo coartano.
Il lavoro non è una condanna, ma costituisce un diritto, oltreché un dovere, è ciò di cui si scopre quotidianamente di più la necessità, il senso e il valore tanto socio-economico, quanto morale.
Svolgere un lavoro e svolgerlo non soltanto bene e devotamente, ma anche in un buon contesto igienico e ambientale, cosicché il lavoro stesso e la modalità di espletamento siano consentanei alla dignità della persona umana e lavoratrice, significa concretare la propria vocazione. E questa non può che essere una obbligazione morale, da adempiere compiutamente, con dedizione, lealtà, probità, diligenza e competenza, sempreché il sistema economico, giuridico e sociale sostenga tutti ad assolvere tale dovere ed esercitare tale diritto.
Auguri per la festa del lavoro.
(Foto: Corriere.it)
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