L’italianeggiante Barocco magiaro, in un’Ungheria difesa dal generale Carafa e conquistata dal teatro di Metastasio
| di Antonella CasaburiDopo la morte del grande intellettuale e difensore della Patria Miklós Zrínyi, l’Ungheria vive l’ultimo periodo del dominio turco. In seguito all’assedio di Vienna, nel 1683, viene creata la Lega Santa per liberare l’Europa Centrale dai Turchi. Buda viene liberata e in breve viene liberato l’intero Regno Ungarico, compresa la Transilvania. I contatti letterari italo-ungheresi si infittiscono grazie agli italiani che hanno partecipato alla guerra di liberazione: il generale Antonio Carafa (le cui campagne ungheresi saranno descritte da Giambattista Vico), e i letterati Gianfrancesco Gemelli Careri e Luigi Ferdinando Marsigli, che porteranno in Italia preziosi codici della Biblioteca Corviniana. In Italia, poi, numerosi autori scriveranno memorie storiche e opere letterarie in occasione della liberazione di Buda e del’Ungheria Cattolica: Filicaia e Guidi, importanti esponenti delle Corone Arcadiche, e così pure faranno i poeti romaneschi, tra i quali Berneri.
Nel 1711 la pace di Szatmár sancisce il compromesso tra gli Asburgo e l’Ungheria e per tutta la prima metà del XVIII secolo il popolo magiaro è impegnato nella ricostruzione materiale, socio-culturale e artistica delle terre riconquistate dal Turco. Nelle città di Buda, Pest, Eger, Esztergom, Vác e Székesfehérvár sorgono chiese e cattedrali, sontuosi palazzi e teatri, vengono fondati collegi, seminari, accademie e biblioteche. I lavori di ricostruzione, che subiscono l’influenza della Chiesa Cattolica e dell’aristocrazia della Controriforma, seguono uno stile barocco decisamente italianeggiante, in virtù anche dello stretto e antico legame che unisce il più alto clero magiaro alla Chiesa Romana e ai Collegi Centrali di Roma. La ricostruzione è in gran parte affidata ad architetti, stuccatori, pittori e scultori italiani. Il Castello Reale di Buda fu ricostruito dall’architetto imperiale Venerio Ceresola: un italiano che favorì numerosi impieghi di artisti italiani in Ungheria. In quasi ogni città magiara si formarono corporazioni artistiche italiane e il Barocco ungherese, di cui pure furono protagonisti artisti austriaci, ebbe ben più di una sfumatura italianeggiante.
Nei castelli, nei magnifici palazzi di Eger, nelle chiese barocche di Pécs, Veszprém e Vác, nelle curie e nei collegi dei Gesuiti, ovunque si esibivano compagnie teatrali italiane, che recitavano in italiano testi teatrali scritti da autori italiani e musicati da compositori italiani. La cultura teatrale magiara ebbe un fortissimo gusto italiano, come si evince dalle scelte artistiche del Teatro di Castello dei Principi Esterházy, dove per tutto il ‘700 l’opera fu quasi interamente in lingua italiana, eseguita da cantanti e musicisti che giungevano dall’Italia. La vastissima diffusione del melodramma italiano in Ungheria determinò il grande apprezzamento di Muratori; più ancora, si legò alla grandissima fortuna di Pietro Metastasio. Poeta romano che seguì le orme di Gravina e che fece parte dell’Accademia dell’Arcadia ispirandosi a Tasso e a Marino, Metastasio rinnovò il melodramma italiano, e le sue opere lo resero celebre in tutta Europa: chiamato a Vienna, divenne poeta cesareo, sostituendo il veneziano Apostolo Zeno, influenzando la cultura teatrale ungherese del XVIII secolo. Ben 26 melodrammi di Metastasio furono tradotti dai più influenti intellettuali ungheresi (tra i molti, ricordiamo due esponenti del clero e membri dell’Accademia dell’Arcadia di Roma: Ádám Patachich e Antal Gánóczi; e due tra i maggiori poeti dell’epoca: Ferenc Kazinczy e Mihály Csokonai Vitéz).
L’aristocrazia e il più alto clero magiaro si formava da secoli in Italia, nei Collegi di Roma e nelle altre città della penisola; e adesso che il gusto italianeggiante dell’architettura, della poesia e della musica italiana trionfava in Ungheria e anche a Vienna, la città imperiale dove vivevano gli intellettuali ungheresi e dove per 52 anni visse Metastasio, che nell’Impero rappresentava l’italianità, e che non volle mai imparare una sola parola di tedesco, i tempi erano pronti perché i viennesi e gli ungheresi promuovessero in Patria l’insegnamento dell’italiano, che si impose come materia di studio al Theresianum di Vienna e nei Convitti dell’Ungheria di Sopron, Vác, e di Buda. Nel 1808 all’Università di Pest sorse la prima Cattedra d’Italianistica, ancora oggi concreta testimonianza del legame culturale che unisce Ungheria e Italia, e che ancora oggi rende l’italiano la quarta lingua più studiata nelle scuole e nelle università ungheresi.
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