Maracuoccio o Maricocci ? Un po’ di notizie certe
| di Angelo GentileSicuramente l’attuale seme Maracuoccio/Maricocci è della famiglia delle leguminose. Gli studi sono stati
tanti,specie per il genere Pisum che presenta molti tipi spontanei, assai diversi dal punto di vista morfologico.
Tutti i tipi, però, sia spontanei che coltivati, hanno in comune lo stesso numero di cromosomi che indurrebbe a non usare nomi differenti. In recenti studi il Pisum Arvense sarebbe la specie maggiore e tutte le altre sarebbero delle varietà. In diverse parti d’Italia il Pisum lo si trova allo stato spontaneo, utilizzato come foraggio per il bestiame, anche se a Colfiorito (Perugia) se ne ricava una polenta detta “farrecchiata” e il seme Roveia.
In Campania, solo a Lentiscosa lo si trovava coltivato a scopi commestibili, seminato in terreni non altrimenti sfruttati da colture, aree povere a resa bassa. Si seminava in gennaio-febbraio in piccoli o piccolissimi appezzamenti anche scarsamente fertili, senza presenza di acqua, essendo naturalmente molto resistente alla siccità e agli agenti iperfrigeranti. Ciò lo rendeva prezioso per quella parte della popolazione che non aveva possibilità di seminare altro. La raccolta a luglio, quando la piantina, bassa, era giunta a maturazione coi suoi piccoli baccelli.
Era tutta la pianta, e lo è tutt’ora, ad essere strappata dal suolo, una per una, per poi metterla a seccare al sole estivo e ad essiccazione completa, si potevano ottenere i piccoli semi (cuocci in dialetto lentiscosano perché ricordavano i porri della pelle indicati con questo nome) previa battitura, ma con l’accortezza di mettere sotto le piantine un telo, dei sacchi onde non disperdere gli stessi semi. Il colore di questi è vario, dal marroncino al perla, un po’ squadrati.
Dopo la raccolta, modesta per non dire scarsa, i semi venivano ridotti in farina grazie alle “macinelle” ovvero due dischi di pietra di cui il superiore mobile e forato al centro. Dal foro s’inserivano i semi (ciò valeva anche per altri farinacei) e con la forza delle braccia si faceva girare la mola superiore dotata di un manico.
A Lentiscosa queste macine erano presenti in tutte le famiglie più facoltose. Una di queste, famiglia Zito, ne aveva alcune poste a batteria, fittate a chi aveva bisogno di macinare granaglie, lasciando una parte del ricavato come paga in natura. Un artigiano che le costruiva, lavorando la pietra (tratta dalla località il Lavinaio e le Mole a Lentiscosa e la scogliera a Marina di Camerota che è chiamata Macinelle per l’appunto) da me intervistato all’inizio degli anni Ottanta, è stato Luca Marotta, per antonomasia zio Luca. Mi è stato riferito che anche le piante a semi neri erano consumati, sebbene da singola persona. Ciò non deve meravigliare perché la quantità dei Maracuocci/Maricocci è sempre stata assai limitata essendo faticosa la lavorazione, non proporzionata alla rendita.
Ho rinvenuto la prima notizia dei Maracuocci/Maricocci in un documento che riportava meticolosamente la questua in paese per la festività di Santa Rosalia, registrata sotto l’anno 1805: frate Antonio oltre a un tomolo e stoppella sette di grano ebbe anche un rotolo e mezzo di “maricocci” (cioè 1.335 grammi pari a ducati 0,10). Il valore è indiscutibilmente basso, come pure la quantità, ma si tratta di un’offerta di un fedele che aveva i maricocci in casa e li donò per la festa della padrona Santa Rosalia. Ancora, ho rinvenuto in archivio altre notizie: dal comando della 227^ Divisione- Ufficio di Collegamento con 51 TOWN Major- prot n. 894/H2 novembre 1945, lettera inviata a Camerota, al Genio Militare Italiano, al Presidio Militare di Salerno dal tenente colonnello Andrea Latella che dice :” Il TOWN MAJOR di Salerno con f. TM 27/443 del 16 ottobre 1945 ha comunicato che l’isola di Camerota dal 16 ottobre 1945 non sarà più usata come zona di esercitazione tiro”.
Potrebbe sembrare estranea la notizia, ma da questa deriva la possibilità di chiedere i danni per i tiri
di esercitazione della flotta alleata nelle terre occupate quali “zona di fuoco”, tiri che danneggiarono, ad
esempio la torre di Cala Bianca forandola. Tanti furono i danni e schegge di bombe sono state raccolte da più persone anche per trasformarle in attrezzi o solo per ricordo (ne conservo una che raccolsisu Monte Pistillo durante un’escursione giovanile).
Da questa creduta possibilità di chiedere un rimborso è possibile conoscere le coltivazioni del Comune di Camerota: olivi, peri, mandorli, meli, fichi, viti, carrubi, grano, orzo, granturco, fave, favette, fagioli, patate, pomodori, zucchine, piselli, noci, castagni, ciliegi, sorbi, nespoli, gelsi, susini, peschi, ma anche lupinelli, lupini, cipolle nonché lino (due soli terreni). Non manca la coltivazione dei maricocci: Del Gaudio Gaetano fu Giuseppe a Gariniello lamentava la mancata produzione di “Vizzi seminati kg 2”; Bellucci Giuseppe fu Francesco a Vaiamonte “Vizzo bianco seminato kg 4”; Del Gaudio Antonio fu Gaetano a Varco del Nocillo danni a 4.000 mq di terreno a “Vecce”; Russo Salvatore fu Antonio a Linfreschi, danni a 20 are a “Veccia”. Su 144 richieste totali il termine Maracuocci/Maricocci non è assolutamente riportato se non nel nome di “Vizzi-veccia-vecce” e solo in quattro richieste degli stessi proprietari lentiscosani.
Prodotto di nicchia, piccola nicchia, oggi i Maracuocci/Maricocci sono ricercati da chi viene in vacanza sulla nostra splendida costa, sotto forma di polenta chiamata in dialetto “Maracucciata”, deliziosa per il leggero sapore amarognolo. La sua preparazione ha ormai regole fisse essendo un prodotto presidio Slow Food dal 2016.
Atteso che a Lentiscosa il più antico nome ufficiale di questo genere di Pisum, anno 1805, è “Maricocci” sarebbe forse corretto usarlo al posto di “Maracuocci”, voce diffusa in paese, ma più recente. Per altre informazioni storiche su Lentiscosa vedi la mia ricerca “Santa Rosalia e Lentiscosa, storia civile e religiosa di un paese del Cilento” Palladio ed, SA, 2008
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