Realacci chiede lumi sui soldi versati al pentito Fonti

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Realacci chiede lumi sui soldi versati al pentito Fonti

(ANSA) – CATANZARO, 25 MAG – Interrogazione parlamentare sull’affondamento di navi con rifiuti tossici e sul denaro che sarebbe stato versato all’ex pentito Fonti. L’ex esponente della ‘ndrangheta, considerato tra i responsabili dell’affondamento di navi contenenti rifiuti radioattivi al largo delle coste italiane, avrebbe ricevuto dallo Stato ingenti quantita’ di denaro. Ermete Realacci (Pd) ha presentato un’interrogazione insieme ad Alessandro Bratti (Pd) dopo un articolo pubblicato dall’Espresso.

 

Di seguito, l’articolo di Riccardo Bocca, pubblicato da"L’Espresso":

Centinaia di milioni di lire versati dallo Stato al pentito che ha parlato del traffico di rifiuti tossici e radioattivi. Un libro rivela l’inquietante episodio.

Il 26 maggio esce in libreria "Le navi della vergogna" (Bur Rizzoli, pp. 291, euro 10), saggio inchiesta di Riccardo Bocca sullo scandalo delle imbarcazioni affondate nel Mediterraneo cariche di rifiuti tossici e radioattivi. Ecco il brano sui rapporti riservati tra lo Stato e il collaboratore di giustizia Francesco Fonti, ex boss della ‘ndrangheta autodenunciatosi per i traffici delle scorie.

È da poco iniziato giugno 2005, quando il magistrato Vincenzo Macrì della Direzione nazionale antimafia riceve un documento che riguarda le navi dei veleni e la ragnatela di mafiosi e trafficanti che le avrebbero affondate. Si tratta del memoriale di Francesco Fonti, ex boss della ‘ndrangheta nato a Bovalino il 22 febbraio 1948 e diventato negli anni Ottanta-Novanta attore di primo piano nel traffico di stupefacenti e armi. Niente a che vedere con lo stereotipo del mafioso sanguinario: Fonti è un uomo minuto, dalle maniere gentili, che non ha mai ucciso, ma dietro a questo aspetto mite è dotato di un’astuzia e un’intelligenza che gli hanno permesso di scalare le gerarchie della famiglia Romeo a San Luca.
"La mia non è mai stata una mentalità criminale: al contrario, ho vissuto una vita che non mi apparteneva, e che non ho accettato anche se la stavo vivendo io", ha raccontato nella sua autobiografia. Punto di partenza, una comune famiglia borghese che abita "dove l’aria è totalmente impregnata dall’odore dei gelsomini e delle arance. Ma c’è un altro odore che supera gli altri: quello della ‘ndrangheta". Ed è proprio in questa organizzazione che il giovane Francesco approda nella seconda metà degli anni Sessanta (…)". In seguito svolge le sue attività criminali sia in Italia che all’estero: "Mi incontravo per conto dell’organizzazione con titolari di industrie, chiudevo affari ad alto livello", dice. Poi inizia a collaborare con la giustizia nel 1994, accumula anni di carcere per traffico di stupefacenti e intanto contribuisce alla condanna di appartenenti alla ‘ndrangheta.

"Mai avrei pensato di rivelare quello che sapevo sulle navi dei veleni, ma la mia salute era sempre più fragile e non volevo più tacere. Così ho inviato il memoriale a Vincenzo Macrì, uomo che stimo da sempre". Un dossier affollato di episodi che sarebbero sconvolgenti, se venissero confermati. (…) Per la ‘ndrangheta, infatti, gettare in mare sostanze inquinanti a bordo di navi si rivela un ottimo affare. Ci guadagna, a detta del collaboratore, "dai 4 miliardi di lire per un carico fino a un massimo di 30", e queste cifre sarebbero versate a Lugano presso l’agenzia Aeroporto della banca Ubs, oppure in altri istituti bancari a Cipro, Malta, Vaduz e Singapore. (…) Poi Fonti si spinge oltre, accusandosi di avere partecipato in Calabria all’affondamento di tre navi dei veleni (Yvonne A, Cunski e Voriais Sporadais), ma viene accusato di avere raccontato il vero su alcune questioni di mafia, e non sui traffici radioattivi.

(…) Da parte sua, il pentito continua a sostenere di essere assolutamente affidabile, anche per le navi dei veleni, e il tempo dirà se sta mentendo o meno. In attesa che si chiudano le indagini (…), c’è un retroscena che lui stesso svela riguardo ai rapporti con lo Stato italiano, per il quale avrebbe svolto a fine anni Novanta collaborazioni riservate, ricevendo in cambio cifre consistenti. "È andata così", mi ha spesso ripetuto dal 2005 a oggi: "Sono stato prima usato e ora buttato".

E se ribatti che è difficile credergli, che sembra tutto impossibile, e comunque sono ipotesi troppo generiche per essere provate, non si tira indietro. Racconta invece la sua versione dei fatti mostrandoti copia dei documenti falsi che utilizzava quand’era sotto protezione (…). Il motivo per cui ha deciso di estrarre queste e altre carte del passato, spiega l’ex boss, è che vuole ribadire "il rapporto di lealtà avuto con il nostro Stato dopo il pentimento del ’94". Un legame in certe fasi particolarmente stretto, specifica, come a suo avviso confermerebbe la cartellina che appoggia sul tavolo (…). Dentro, è subito chiaro, ci sono materiali che meritano attenzione. Si tratta, infatti, di quattro comunicazioni che il ministero dell’Interno avrebbe inviato all’ex mafioso utilizzando il nome di copertura Francesco Baldassari. Note riservate dalle quali spuntano tracce di consulenze, versamenti da centinaia di milioni di vecchie lire e concessioni di anticipi. Il tutto partendo dal primo luglio 1999, quando il Dipartimento della pubblica sicurezza- Direzione centrale della polizia criminale scrive: "Dispaccio telegrafico, riservato "Z". Dr. Baldassari Francesco, in seguito della Sua disposizione verbale, l’ufficio ragioneria ha già provveduto alla variazione dell’appoggio bancario. Pertanto, dal prossimo semestre le Sue competenze di collaborazione con codesto Ministero pari a lire 134 milioni Le saranno accreditati presso la Rolo Banca 1473 filiale di Miramare di Rimini, nel c/c n.ro 903 intestato a suo nome. Tanto per Sua conoscenza, f.to Direttore Generale della Pubblica Sicurezza".
(24 maggio 2010)

 

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