Nuova legge di Bilancio e la chiusura di 700 scuole: così muoiono i piccoli centri del Sud
| di Mariella MarchettiLa norma prevista nella Legge di Bilancio 2023 che porta il numero minimo degli alunni per scuola da 600 a 900, rischia di far chiudere nei prossimi due anni nel nostro Paese 700 scuole, 1.251 nell’arco dei prossimi dieci anni.
I dati sono drammatici, soprattutto per il Sud e preoccupano non solo per i danni che il ridimensionanto causerà in termini di didattica, di gravosi spostamenti di docenti e alunni in plessi scolastici lontani da quelli di origine, di tagli di posti di lavoro del personale della scuola, ma anche per i paesi che ne subiranno il duro contraccolpo. Già negli ultimi anni il fenomeno dello spopolamento ha eroso e snaturato al suo interno la struttura dei paesi, non solo nell’aspetto demografico, ma anche in quello che ne è la diretta conseguenza, ovvero la scomparsa di attività e servizi essenziali.
Chi abita in un piccolo centro ha assistito impotente alla demolizione, pezzo dopo pezzo, dei servizi che rendono un paese funzionale, non un semplice agglomerato di case, alla chiusura progressiva di uffici postali, botteghe, guardie mediche, stazioni di forze dell’ordine e sportelli bancomat.
Eppure, nonostante tutto, molti hanno scelto di rimanere, affrontando le molteplici difficoltà quotidiane di ordine logistico e pratico.
Chiudere anche le scuole, gli asili, le elementari e le medie presenti sul territorio, significa decretare la morte definitiva dei piccoli centri, non avere più alcuna possibilità di rigenerare e vivificare il tessuto sociale, significa per molti stabilire di andare via, progettare un ipotesi di futuro altrove, per sè e per i propri figli.
La presenza dell’Istituzione scolastica sul territorio, in maniera ancora più significativa lì dove è venuto meno ogni servizio essenziale, è il contrassegno più significativo di appartenenza ad un luogo, il riconoscimento identitario con esso.
La Scuola è presidio di cultura e legalità, è baluardo di resilienza dei paesi i quali, da molti anni, una visione di sviluppo miope, ha voluto scioccamente destituire a non luoghi, dove i pochi rimasti si affannano in una lotta quotidiana per la sopravvivenza e chi già è andato via al massimo programma un ritorno circoscritto al breve periodo delle vacanze estive.
La Scuola è il segno identitario di ogni piccola comunità, la cifra di quello che siamo stati e di quello che siamo, l’istituzione inderogabile dove ci si riconosce come appartenenti a una comunità con la quale condividiamo le nostre radici, la memoria storica, l’esempio degli uomini illustri del passato, l’idioma, gli usi e i costumi locali.
Già da alcuni anni le scuole dei comuni più piccoli hanno subito un vigoroso colpo d’ascia con la legge che le costrinse a raggrupparsi sotto un’ unica reggenza, perdendo le rispettive storie identitarie, addirittura il nome d’origine che era di fatto memoria storica, sostituito col triste e impersonale acronimo – IC – ovvero Istituto comprensivo.
Se sul nostro territorio muore anche la Scuola, se una sola Scuola sul nostro territorio chiude, allora davvero avremo perso ogni possibilità di rabberciare un tessuto sociale che si sta inevitabilmente sfaldando e disperdendo, avremo perso la partita dello sviluppo, la speranza di restare, ma soprattutto di resistere.
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