Omicidio Maria Paola, Dorian Gonnella: «Le parole hanno un peso enorme»
| di Redazionedi Giangaetano Petrillo
Quando, durante i funerali tenutisi lo scorso Martedì, don Maurizio Patriciello, dal pulpito, chiede perdono a Maria Paola perché, dice, «non siamo stati capaci di custodire la tua fragile e preziosissima vita», la tragedia di Caivano appare per ciò che è stato sin dall’inizio, non una trama scespiriana, ma un dramma dei nostri tempi, consumato in uno dei quartieri delle nostre periferie urbane e spirituali, prima ghettizzati e poi messi all’indice, dove disagio sociale, pregiudizi e analfabetismo culturale si confondono nell’indifferenza di troppi, specialmente chi è chiamato a trovare soluzioni, e nell’impotenza dei pochi che provano ad affrontarli. Perché questa vicenda non si esaurisca nel cordoglio, abbiamo contattato Dorian Gonnella, che ha da poco aperto su facebook la pagina LGBT+ – Vallo di Diano per approfondire e cercare di fare chiarezza.
Come ha accolto la notizia di quanto accaduto a Caivano?
Ho avuto un senso di disgusto a primo impatto, poi dolore e tanta rabbia. Superato lo sconforto iniziale tuttavia, è subentrata la razionalità e ho cercato di capire come mai fosse accaduto, come si sarebbe potuto evitare o come si possa evitare che si ripeta in futuro e in che modo io possa contribuire. E’ stato orribile leggere della morte di una ragazza innocente, Maria Paola, a pochissima distanza dalla morte di un altro innocente, Willy, entrambi uccisi, fondamentalmente, da una mascolinità tossica figlia della cultura patriarcale ancora estremamente radicata nella mentalità italiana, nonché dalla discriminazione, sebbene in forme differenti. Da una parte c’è Willy, morto per mano di un’Italia ancora fortemente razzista e fascista, e dall’altra Maria Paola, morta per mano di un’Italia ancora fortemente omolesbobitransfobica. Purtroppo queste piaghe, causate principalmente da malcontento ed ignoranza, sono fomentate da una politica senza scrupoli, laddove vediamo esponenti di alcuni partiti esibirsi in tutta la loro ipocrisia esprimendo prima cordoglio, palesemente di circostanza, per le tragedie avvenute e poi fare discorsi razzisti ed omolesbobitransfobici o ostacolare leggi che, chissà, magari avrebbero potuto impedire il verificarsi di questi episodi. Certamente la colpa è anche del giornalismo, che legittima e diffonde la transfobia utilizzando un linguaggio improprio – deadnaming e misgendering – e anche il razzismo. Non si rendono conto di quanto contraddittorie siano le loro azioni e che del sangue di questi innocenti siano sporche anche le loro mani. Appena apprese le notizie e compresa la gravità di quanto accaduto, ho pensato di utilizzare il progetto LGBT+ per fare informazione riguardo i fenomeni che si celano dietro quanto accaduto e dando il via a delle settimane a tema.
Da quanto sembra emerge, c’è un contesto familiare che non accettava la scelta dei due ragazzi di vivere insieme. In questo caso quanto sarebbe importante il ruolo di associazioni territoriali che accolgano eventualmente coppie che vivono difficilmente la propria relazione?
Sarebbero essenziali al fine di evitare che altri innocenti, la cui unica “colpa” era quella di amarsi o di essere sé stessi, vengano uccisi così. Queste persone potrebbero avere un rifugio sicuro in cui vivere serenamente il loro amore e la loro identità. Andrebbero certamente stanziati più fondi per case famiglia e centri antiviolenza e anche in questo senso, l’approvazione della legge contro l’omolesbobitransfobia sarebbe indispensabile.
Questa violenza, che dalle parole dello stesso Ciro andava avanti da tempo, cosa ci racconta?
Innanzitutto di quanto difficile possa essere la vita per una persona transessuale e chi le sta attorno; di quanto l’ignoranza su certi temi possa rendere un vero incubo la vita di qualcuno, soggetto a continue minacce e intimidazioni. Ci racconta che nemmeno vivere uno dei sentimenti più belli al mondo alle volte è così semplice. Credo infatti che l’intera vicenda getti luce su alcuni problemi ancora fortemente radicati in Italia, le persone trans non possono ancora condurre una vita normale, è una lotta continua. Sono ancora fraintese, incomprese, discriminate e sono con ogni probabilità una delle, se non la, categoria più stigmatizzata dalla società, per non parlare del fatto che ancora qualcuno, nel 2020, sia convinto non solo che omosessualità e transessualità siano inaccettabili o contro natura, ma anche che possano essere contagiose, come vere e proprie malattie, quando le uniche cose inaccettabili e purtroppo anche contagiose, sono paura e ignoranza. La vicenda ha evidenziato però anche qualcosa di non poco conto riguardante la situazione delle donne, mostrando quanto ancora queste siano soggette alle dinamiche di una società misogina e patriarcale che mira a controllare ogni aspetto della loro vita. Fin troppo spesso vengono trattate come proprietà più che come persone; il fratello di Maria Paola, nonché la sua famiglia, volevano arrogarsi il diritto di stabilire chi lei potesse o non potesse amare. È un errore commesso in buona fede perché credevano di starla proteggendo? No. L’amore qui c’entra ben poco; Maria Paola era una loro proprietà, che stava disobbedendo alle loro regole, che stava ribellandosi ai loro dettami riguardo ciò che secondo loro era giusto o sbagliato e in quanto tale, doveva essere rieducata, meritava una lezione. I suoi sentimenti e la sua volontà non contavano nulla. Inoltre, forse qualcuno che credeva che leggi come il DDL Zan tutelassero i soli diritti delle persone LGBT+, si sarà ricreduto: Maria Paola, eterosessuale e cisgender, è stata uccisa da misoginia e TRANSFOBIA.
Ciro, ricordiamolo, il compagno di Maria Paola uccisa dal fratello, è un ragazzo trans. Purtroppo sta subendo un’ennesima violenza perché molti telegiornali e quotidiani lo descrivono come donna in fase di transizione o, peggio, come un uomo nel corpo di una donna, arrivando persino a declinargli il nome al femminile, chiamandolo Cira.
Oltre al danno, la beffa, mi viene da dire. Tuttavia, stupisce? Dato il mio ottimismo, ammetto che mi abbia un po’ stupito, ma in generale mi rendo conto che non ci si aspettasse nulla di meno, non è la prima volta che accade, d’altronde. Abbiamo sentito parlare di loro come due amiche, negandone persino la relazione sentimentale, come compagne che avevano una relazione LGBT+, un’amica che da un po’ di tempo si faceva chiamare Ciro, una donna in transizione perché molti non riconoscono la validità dell’identità di genere di qualcuno se questo non si è sottoposto a tutte le operazioni, e addirittura qualcuno ha utilizzato il nome assegnato alla nascita. In alcuni casi poi, Ciro è diventato semplicemente un trans. Ma tutto ciò non è nuovo; si sente spessissimo parlare in maniera impropria e irrispettosa delle persone transessuali nei servizi trasmessi in tv o negli articoli di giornale, che sia per ignoranza, per transfobia del giornalista o della testata giornalistica o perché si crede che facendo altrimenti, al grande pubblico risulti difficile comprendere il movente dell’omicidio. Come ho accennato in una delle risposte precedenti, commettere errori come questo, nello specifico deadnaming e misgendering, contribuisce a far sì che episodi come quello di Caivano si ripetano ancora. Passa infatti il messaggio per cui le persone transessuali possano essere chiamate o considerate come meglio ci aggrada perché la loro identità non è valida ne’ accettata; che siano squilibrati che da un giorno all’altro hanno deciso di farsi chiamare in un certo modo come in una sorta di gioco di ruolo; che il loro nome non sia altro che un soprannome mentre quello assegnato alla nascita sia il loro unico vero nome; che non siano altro se non uomini travestiti da donna e donne travestite da uomini che cercano di passare per qualcosa che non sono e in definitiva, che non siano degne di altrettanto rispetto. Difatti, non bisognerebbe MAI scrivere un trans o un transessuale perché questo deumanizza la persona legittimando violenze a loro danno visto che, appunto, non sono viste come persone, ma come qualcosa in meno. Per di più, ciò la esclude dalla binarietà uomo – donna, sminuendo gli sforzi fatti per guadagnarsi la propria identità, perché in questo modo non sono considerati ne’ uomini ne’ donne, ma qualcosa d’altro. Da qui a un omicidio a sfondo transfobico, quanto è breve il passo? Quanti scrupoli potresti farti nell’uccidere una persona che a malapena vedi come tale? Ricordo infatti che questo omicidio non è stato causato dalla sola misoginia, ma anche dalla transfobia e i giornali hanno contribuito ad alimentare esattamente ciò che ha ucciso una ragazza innocente. Deadnaming e Misgendering poi, possono indurre le persone transgender in uno stato di tale disagio, da portarle a sviluppare o alimentare problemi psicologici preesistenti anche gravi, che possono sfociare nel suicidio. Quindi, che non si dica che tutto ciò che sta accadendo circa il modo in cui si parla di Ciro sia una questione secondaria, perché non lo è. Le parole hanno un peso enorme. Vogliamo sulla coscienza altre vittime, il cui sangue gronda anche dalle nostre mani, e piangere solo a fatto accaduto o vogliamo impegnarci seriamente perché questo non si ripeta più? In caso scegliessimo la seconda, c’è bisogno che ponderiamo molto attentamente ciò che affermiamo e ciò che facciamo.
Quanto, di questi tempi, occorre avere un giusta informazione da parte della stampa e del servizio pubblico?
La gente si fida di questi mezzi di informazione e il loro pensiero viene da essi plasmato. Io mi rendo conto di quanto poco si parli di certi temi e di quanta disinformazione vi aleggi attorno, ma un giornalista non è giustificabile, non può permettersi assolutamente certe leggerezze, perché la sua è una responsabilità enorme. È suo preciso dovere informarsi e sapere di cosa stia parlando, non solo per rispetto verso le persone di cui parla ma anche verso quelle a cui parla, che si aspettano un’informazione affidabile e corretta, sia in generale che su questi temi specifici. Al giorno d’oggi basterebbe una ricerca in rete per capire come trattare correttamente temi tanto delicati, ma sin troppi optano invece per un approccio qualunquista e superficiale, facendo nient’altro che alimentare disinformazione e con essa, i gravissimi problemi che questa comporta. Imperdonabile poi anche il fatto che alcuni non facciano misgendering e deadnaming per ignoranza ma di proposito, perché deliberatamente transfobici. Eppure il testo unico dei doveri del giornalista, prevede che si parli delle persone rispettosamente, senza ledere la loro dignità, peccato che non sempre questo sia applicato nei fatti. Per contrastare tutto questo comunque sarebbe necessaria una maggiore sensibilizzazione. Dei corsi di formazione che forniscano linee guida riguardo come questi argomenti possano essere trattati correttamente sarebbero indispensabili, ma ancor più importante sarebbe l’educazione scolastica in merito a certi temi che gioverebbe non solo ai giornalisti, ma all’intera popolazione.
Perché, secondo lei, l’amore che è, o almeno dovrebbe essere il sentimento più puro, libero e incondizionato, più genuino, tende poi a perdersi tuttora in etichette imposteci dalla società o dalla stessa religione?
Credo che lei abbia detto la parola giusta, religione. Sebbene le discriminazioni di tipo omofobico non siano nate con la religione, anzi, ad esempio, le prime comunità cristiane non avevano nulla contro l’amore tra persone dello stesso sesso, è stata proprio la religione, diventata col tempo profondamente intollerante verso le differenze, a diffonderle e soprattutto a radicarle così profondamente. La religione fa leva sul lato più fragile, emotivo e irrazionale delle persone e purtroppo è stata spesso inculcata con la paura sin dalla più tenera età. È semplice immaginare quindi come mai sia così difficile scardinare certi preconcetti da essa diffusi. La gente ha paura di non credere, e in generale, di discostarsi dagli insegnamenti ricevuti dalla chiesa. Immaginate che sin da piccoli vi abbiano terrorizzati convincendovi che se non credete, vi comportate e la pensate in un certo modo, finirete all’inferno. Dio vi punirà o scatenerà, per dire, una pandemia; a quel punto, possono spiegarvi come mai in realtà non esista un modo giusto o sbagliato di vivere l’amore, o la propria sessualità, ma a causa di quell’enorme paura irrazionale, non riuscirete a ragionare o vi rifiuterete del tutto. Va considerato anche che nelle scuole il pensiero critico e razionale non venga promosso come dovrebbe. Siamo più incentivati ad imparare a memoria e ripetere piuttosto che imparare le cose perché ci suscitano interesse o ad elaborare pensieri nostri a riguardo. Studiare qualcosa è un dovere, un compito a cui approcciarsi passivamente, qualcosa da memorizzare, e soprattutto è una verità assoluta e incontestabile, non un piacere ne’ qualcosa di interattivo o che possa essere messo in discussione. Se ne ricava che la gente sia in media più propensa a reagire emotivamente e reiterare passivamente ciò che apprende piuttosto che ragionarci razionalmente e rielaborare e soprattutto, che reagisca molto male quando tocchi una tra quelle convinzioni incrollabili. Un’altra causa è una cultura frammentaria, per cui molti sono convinti ad esempio che i sessi siano solo due perché solo due sono i genitali – mentre è in realtà una questione più complessa di così, essendo uno spettro piuttosto che qualcosa di binario -, e che, dato che solo l’incontro tra questi due genitali produce la vita, tutto il resto sia innaturale e illecito. Il considerare un amore giusto e uno sbagliato poi, è certamente figlio anche della solita cultura patriarcale, promossa sia in società in generale che tramite i media. E’ diffusissimo infatti un concetto di mascolinità tossica secondo cui le relazioni omosessuali rendano un uomo meno uomo, femminilizzato, e che quindi vada discriminato, deriso e bullizzato. O che la donna sia fatta per soddisfare l’uomo, quindi non debba stare con un’altra donna, e se attraente, la donna lesbica è anche considerata uno spreco o qualcuno a cui puoi permetterti di dire cose del tipo vieni a letto con me, tu hai solo bisogno di provare un vero uomo. Nei media invece domina, sebbene le cose stiano gradualmente migliorando, l’eteronormativita nonché la cisnormatività, quindi vedere due persone dello stesso sesso amarsi o scambiarsi effusioni, non è qualcosa a cui si è particolarmente abituati, ne consegue che ai più faccia ancora strano o provochi addirittura disgusto.
Da poco ha aperto una pagina fb LGBTQ+ per il Vallo di Diano, tra l’altro l’abbiamo ospitata anche sulle nostre pagine per parlane. Si è mai ritrovato ad ascoltare storie simili?
Si, ma mi è stato chiesto di non pubblicarle. Ho ascoltato degli sfoghi personali di alcune persone che tutt’ora vivono situazioni familiari allucinanti ed oppressive. Ho cercato e sto ancora cercando di dare loro dei consigli o trovare un modo per aiutarli concretamente, ma non è semplice capire come agire al fine di donare la libertà a queste persone in alcuni casi purtroppo. Riguardo il progetto, segnalo che le prossime due settimane saranno dedicate proprio alla mascolinità tossica, in particolare nei media, e alla transfobia, alla luce di quanto accaduto a Willy e Maria Paola.
Dalla sua esperienza personale, qual è il messaggio che intende lanciare perché si comprenda come e quanto l’amore non può essere un concetto per cui esistano patenti e foglietti di istruzioni?
Non si sceglie chi amare ne’ esistono modi giusti o sbagliati di farlo. Sembra talmente semplice e scontato, che fa persino strano doverlo dire, e ribadire ancora e ancora perché sin troppi non riescono a comprendere questo banale dato di fatto. Non si sceglie nemmeno chi essere. Non si sceglie nemmeno da chi essere attratti. E in ogni caso, chiunque siamo, chiunque amiamo, chiunque ci attragga, va bene, perché tutto questo non nuoce a nessuno.
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