Padula, il battistero di San Giovanni in Fonte: il tesoro nascosto unico in Italia
| di Redazionedi Giangaetano Petrillo – foto © Pio Peruzzini
Un’antologia di immagini e di parole. Un vademecum online per tutti i gusti e tutte le stagioni. È questo, in sintesi, il valore e lo spirito del lavoro che stiamo promuovendo su questo giornale. Insieme alle immagini del fotografo Pio Peruzzini, ci stiamo muovendo nel solco delle precedenti tradizioni e tracce storiche lasciate dai nostri antenati, che hanno abitato nel corso dei secoli questi luoghi. Il Cilento, il Vallo di Diano e gli Alburni, ne emergono, parola dopo parola, e immagine dopo immagine, in tutta la loro ricchezza e varietà di suggestioni. Valli e colline, montagne, calanchi e dirupi, gole, forre e inghiottitoi, costoni rocciosi di aspre falesie, parchi e oasi ecologiche che difendono un ambiente prezioso e incontaminato che ci conduce nel cuore del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, tra chiese, certose badie e santuari abbarbicati alle rupi e sulle cuspidi dei monti, protesi, quasi a voler toccare il cielo, su spazi infiniti e panorami da delirio.
Oggi vi accompagniamo a visitare i resti di San Giovanni in Fonte, a Padula, alla scoperta dei segni dell’uomo e della storia che questo luogo incontaminato custodisce gelosamente oramai da oltre 1.700 anni. Nel IV sec d.C. a Marcellanium, suburbio di Casilinum, venne realizzato un battistero direttamente su una fonte sorgiva, nella località che oggi corrisponde a San Giovanni in Fonte. La località era sede di un fiorentissimo mercato annuale che si teneva nel giorno di San Cipriano – 16 settembre – che attirava mercanti dalle regioni vicine, e già Flavio Aurelio Cassiodoro fa narrazione in una lettera del 527 d.C. del battistero in cui durante la cerimonia del Sabato Santo avveniva un miracoloso aumento del volume delle acque.
L’edificio battesimale fu costruito su di una sorgente naturale le cui acque vennero utilizzate dai cristiani ed incanalate per la funzione del battesimo che veniva praticato secondo il rito orientale, durante la notte dell’Epifania. Nel 1077 il conte normanno di Marsico, Riccardo Malaconvenienza, donò il complesso ai benedettini di Venosa, che lo trasformarono in edificio conventuale e dedicarono la chiesa a San Giovanni Battista. Nel 1297 Bonifacio VIII donò i possedimenti della Trinità di Venosa, e quindi anche Sa Giovanni in Fonte, all’ordine dei Cavalieri Spedalieri di San Giovanni, meglio noti come Cavalieri di Malta, che operarono le modifiche alla struttura ancora oggi visibili.
Sulla parte absidata della chiesa resistono ancora le immagini affrescate di una Teoria degli Apostoli raffigurati con l’esasperata frontalità e l’accentuazione dei tratti del viso tipici della pittura bizantina dell’Italia meridionale, databili all’XI e XII secolo. La grande chiesa evoca una grande suggestione perla sua unicità, dovuta al fatto di essere costruita nelle acque di una sorgente naturale. Questa particolarità la rende unica in tutta Italia, se non addirittura nel mondo. Unicità anche perché le pietre che oggi possiamo ancora apprezzare, serbano come un libro, passi importanti della nostra storia. Oltre all’arte degli amanuensi, che hanno conservato i testi antichi tramandandoci il sapere e la cronaca storica, i monumenti, come San Giovanni in Fonte, restituiscono quegli scorsi fondamentali per una poliedrica ricostruzione storia del nostro passato.
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