Parmenide, chi era costui?
| di Redazionedi Orazio Ruocco
Ma perché Parmenide è passato alla gloria dei posteri? Cosa ha mai detto di così importante, innovativo nel campo del pensiero filosofico? Se ci dovessimo attenere ad Aristotele, lo dovremmo rinchiudere in un manicomio in quanto lo considerava un folle. Per fortuna (di Parmenide) qualcun altro, (Hegel) lo considera il primo filisofo degno di tal nome. E noi, a dispetto di Aristotele, ce lo teniamo così.
Ma, ritorniamo alla domanda: quali sono le tesi filisofiche parmenidee che noi cilentani dovremmo conoscere e raccontare ai nostri ospiti che visitano la nostra terra? Di solito si dice che alla follìa si associa la genialità. Ora io non so se quello che ci ha detto Parmenide è una trovata geniale, ma cerchiamo almeno di capire dove vuole andare a parare.
Faccio una premessa: questa non è lettura per un filosofo o un professore di filosofia. Nel caso ciò avvenisse, il folle sarebbe immediatamente da individuare nella mia persona per la superficialità e la leggerezza con le quali viene trattato il tema. Del resto, io son rimasto un eterno studente, a tratti scapigliato, a tratti irriverente, e quindi il risultato non può essere altrimenti.
E veniamo al nostro amato Parmenide. Nelle sue frequenti passeggiate attraverso il paesaggio incontaminato di Elea, il nostro caro filosofo sarà sicuramente rimasto incantato da tanta primordiale amenità. Ad un certo punto probabilmente si sarà domandato: “Ma tutta questa realtà così bella e suggestiva che mi circonda, è vera o solamente apparente?”.
Immaginiamolo per un momento assorto nei suoi pensieri davanti ad un incantevole tramonto sul nostro mare, o davanti ad una “sciumara” che scorre dolcemente fra i sassi, o agli ulivi secolari che liberano armoniosanente al vento le folte cime della loro corolla.
“Ma tutto questo è vero?”.
Pensa te che domanda si va a fare questo pensatore perditempo e nullafacente. Ora, se noi poveri ignoranti vogliamo azzardarci a dare una risposta, non abbiamo dubbi. “E che cavolo, questa è la realtà che ci circonda e che vediamo, sentiamo, odoriamo; quella che, insomma, percepiamo con i nostri sensi. E vuoi che non sia vera?”.
“E qui vi volevo! – ci risponde beffardamente il nostro illustre maestro. (Ohè, lui è un filosofo, e noi non siamo nessuno!) – Voi non capite, care caprette, che con i sensi non si percepisce la vera realtà, ma ognuno se ne fa un’opinione. Per me l’acqua può essere calda, mentre per te è fredda. Oppure, per te il mare è azzurro, per me è turchese. Ma qual è la verità?”. Già qual è la verità? Secondo Parmenide i sensi (vista, tatto, udito) non sono fonti di conoscenza vera. Ciò che vediamo, tocchiamo e sentiamo, è mera apparenza. Solo la ragione conduce alla verità. È una tesi radicale, perché implica che il mondo in cui viviamo, nella sua infinita varietà di aspetti e nella sua incessante mutazione, non ha alcuna verità. È una tesi che può sembrare assurda, perché contraddice drasticamente il nostro senso comune, questa che afferma che le differenze, il mutamento e il divenire delle cose sono illusioni, apparenze.
Le differenze e i cambiamenti sono illusioni, cioè, secondo Parmenide, sono non-essere, e perciò impossibili, non esistono. La mela che nasce, matura, e marcisce implica divenire. Prima di nascere la mela, non c’era. Quindi questo implica il non essere, così come quando matura e marcisce, perché poi non è com’era prima. Questi passaggi comportano sempre il non essere. Essere nel tempo sottintende il non essere. E infatti il passato, è ciò che non è più e il futuro, ciò che ancora non è.
E allora, dov’e la verità, considerato che tutto ciò che percepiamo sono null’altro che opinioni? Con Parmenide il “pensiero”, la “ragione”, si libera completanente delle rappesentazioni sensibili e delle opinioni negando loro qualsiasi verità, ed assume un’autonomia assoluta. Non esaminando la realtà che ci circonda, noi perveniamo alla verità, ma partendo dalla certezza dell’essere possiamo spiegare la realta. La verità la possiamo attingere quindi soltanto con la ragione che ci offre due strumenti di conoscenza:
“L’Essere è, e non può non essere.
Il non Essere non è, e non può essere”. Solo l’Essere è. Ma, cos’è l’essere? Non c’è una risposta a questa domanda nel poema di Parmenide. L’Essere è, solo questo si può dire, perché se lo definissimo dicendo che l’essere è questo, o quello, di nuovo si presenterebbe la molteplicità e la differenza, e quindi il “non essere”. Dunque, l’Essere è, il nulla non è.
Ma, attenzione, l’Essere così come prospettato da Parmenide, ingenerato, eterno ed imperituro, non è Dio, ma è soltanto una realtà concettuale, una rappresentazione mentale. Fermatevi per un momento e cercate di sentirlo l’Essere nella vostra autocoscienza. L’essere è nel vostro pensieroo, l’Essere è il vostro stesso pensiero.
L’ “Essere”, pertanto, è la sostanza, unica ed omogenea, che compenetra tutte le cose (inclusi noi esseri umani). Dunque, esiste soltanto l’Essere. Questo Essere, che è unico, viene percepito dagli esseri umani come “spezzettato” in molteplici cose, da tutte le cose che la nostra vista fallace quotidianamente ci mostra: Bene. Io ce l’ho messa tutta. Non so quale idea vi siate fatta voi alla fine di questo mio faticoso articolo che, ripeto e confermo, non ha alcuna pretesa accademica. So solo che Parmenide mi ha fatto “fondere” il cervello, e non so se riuscirò a raggiungere la verità, e cioè l’Essere!
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