Usi e tradizioni della settimana Santa nel Cilento

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Usi e tradizioni della settimana Santa nel Cilento

Oggi tutto comincia con la processione della domenica delle Palme alla quale partecipano soprattutto i bambini, ognuno col suo ramoscello di ulivo addobbato con cioccolatini e caramelle. In passato non c’era la possibilità di avere in abbondanza queste leccornie e ci si accontentava dei fichi secchi e, dopo la cerimonia, le palme benedette venivano attaccate ad un paletto della vigna, in segno di augurio per un buon raccolto.

Soprattutto nelle popolazioni dei borghi sparsi sulle pendici Sud-Est del Monte Stella, cuore del Cilento Antico, è sempre viva la tradizione delle “congrèghe”, antiche associazioni di fedeli, che come in pellegrinaggio visitano i diversi “subbùrci” della zona. Si tratta della riproduzione allegorica del sepolcro di Gesù, dove il giovedì santo viene qui riposto il Santissimo. Ad occuparsi principalmente dell’allestimento dei sepolcri sono le donne, che preparano recipienti nel cui fondo distendono della stoppa oppure dell’ovatta su cui si spargono dei semi di grano. Una volta riposti al buio, avendo cura di spruzzarvi di tanto in tanto dell’acqua, questi germoglieranno e si presenteranno sotto forma di pallidi e fitti filamenti che andranno ad ornare il sepolcro.
Le confraternite nel Cilento si diffusero solo a partire dal XV secolo ma hanno la loro origine legata alle prime forme di associazione religiose di laici che si svilupparono a partire dal VII secolo in Francia Meridionale e nell’Italia del Nord, sotto spinta del papa Gregorio Magno che considerava la “penitentia” un importante punto di forza per penetrare nella società del tempo. I Penitenti indossavano una tunica lunga fino ai piedi con un cingolo ai fianchi e un mantello di lana grezza. Oggi la principale attività dei “cumfrati” è la visita ai sepolcri il Venerdì Santo, in passato i campi a cui volgevano il loro interesse erano diversi: dagli aiuti ai poveri, alla preparazione della dote per le ragazze più bisognose, al lavoro agricolo ed artigianale. Tutte le loro attività erano regolate da uno statuto e le confraternite erano rette da un Priore e da un Consiglio di Anziani, i cui componenti sono i mazziéri e portano un lungo bastone. La divisa che indossano oggi non è molto lontana da quella del Medioevo, si tratta da un camice con cappuccio bianco, un corto mantello chiamato mozzètto e un cingolo, il cui colore varia a seconda dell’associazione di appartenenza. I “pianti” che meditano sulla passione di Cristo rivivono durante la Settimana Santa e, tramandati di generazione in generazione, sono ciò che resta vivo delle antiche autentiche melodie contadine.
La Confraternita di Pollica, ad esempio, è molto antica: fondata nel 1747, è dedicata alla Madonna del Rosario, ha il mozzetto nero, colore della confraternita consacrata al Monte dei Morti, e questo fa pensare alla fusione di due diverse associazioni. Ogni Venerdì Santo visitano nove sepolcri del Cilento.
Più recente è la Confraternita Maria SS. del Rosario di Serramezzana, costituita nel 1914, probabilmente con alcune antenate in passato, che, oltre alle funzioni del Venerdì Santo, partecipa alle processioni delle Feste in onore di San Filippo Apostolo (Santo Patrono del paese), della Madonna del Rosario, del giorno del Corpus Domini e in occasione dei funerali di confratelli o familiari di essi.
La Santa Pasqua era anche detta “Pasca re l’ova”. In quest’occasione avveniva la seconda panificazione, un vero e proprio rito accompagnato da antiche credenze. Con gli avanzi della pasta del pane veniva preparato  “lu viccio”, pezzo di pane bianco intrecciato, con al centro un uovo sodo. Generalmente veniva regalato ai bambini o alla persona amata. In ogni paese u’ viccio ha la sua forma: a tortano, rotonda con l’uovo al centro, oppure a viccio, una sorta di treccia che rende l’idea di un neonato in fasce con l’uovo collocato nella parte superiore a rappresentare la testa, o nella parte inferiore a rappresentare l’ombelico. Un tempo le bambine che lo ricevevano facevano il “gioco della mamma”: u’ viccio, fasciato “cu na ‘spara” (una tovaglia che lo ricopriva), diventava il piccolino da cullare.

Le pietanze che si preparavano di solito sono delle focacce che noi chiamiamo “pizze”, vi sono diverse tipologie: pizza re maccaruni, pizza re grano, pizza re riso. La regina per eccellenza è la pizza chiéna, come suggerisce proprio il nome è “ripiena” con soppressata, formaggio di capra fresco e uova sode. Viene solitamente preparata il Venerdì Santo e si lascia “riposare” in modo tale da gustarla al meglio nel giorno di festa.
Ritorna ripetutamente il tema della vita che nasce e la simbologia ad essa legata: il pane, l’uovo, il bambino da cullare. È la festività pasquale che segna la nascita di una nuova vita libera dal peccato e che nel Cilento veniva vissuta con fede e semplicità.

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