Pensiero, cinema e sogno
| di RedazionePer uscire insieme dalla pandemia “investendo” sull’unità e la solidarietà universale
di Antonio Calicchio
«Vorrei aiutare tutti, se possibile: ebrei, ariani, neri e bianchi. Tutti noi esseri umani vogliamo aiutarci l’un l’altro, siamo fatti così. Vogliamo vivere fianco a fianco con la felicità del prossimo, non con la sua miseria … A coloro che mi ascoltano io dico: non disperate! Non siete macchine! Non bestie! Siete uomini! Avete l’amore per la umanità nei vostri cuori! Voi, il popolo, avete la forza di costruire la felicità! Di far sì che la vita sia libera e bella, sia una magnifica avventura! Uniamoci tutti! Combattiamo tutti per un mondo nuovo, che dia ad ognuno un lavoro, ai giovani un futuro, agli anziani la sicurezza».
(Dal film di Charlie Chaplin, Il grande dittatore, 1940)
Correva l’anno 1940 quando, in un autunno di guerra, per tutta Europa, in un momento in cui si intuiva già la tragedia nella quale il mondo stava per scivolare, quantunque non fosse ancora chiara la profondità dell’abisso – sessanta milioni di morti, la Shoah, la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki – usciva, nelle sale cinematografiche statunitensi, il film, di Charlie Chaplin, dal titolo Il grande dittatore. Nel quale film, come noto, Chaplin interpreta due parti, e cioè quella di Adenoid Hynkel, versione caricaturale di Hitler, e la parte del somigliante barbiere ebreo, cui, scambiato per il dittatore, nella sequenza finale, viene domandato di arringare la folla. E ne scaturisce un interessante “discorso alla umanità”. Il mutamento di registro, ossia dal comico all’ispirato, lasciò perplessi i critici; tuttavia, oggi, tali parole rappresentano la testimonianza della concezione di Chaplin dell’uomo e del futuro, la testimonianza del suo “I have a dream”, ma, ad un tempo, interpretano i sentimenti di miliardi di persone.
Pure noi, in questo autunno di angoscia e di scoramento, che già si sta facendo inverno, mentre tutti stiamo vivendo un tempo non facile, siamo chiamati a vedere oltre, a non disperare, a pensare, con maggiore determinazione, che “un mondo nuovo” sia possibile, ad edificare orizzonti di solidarietà e di unità.
In autentico disordine globale, al centro di una “terza guerra mondiale a pezzi”, esposto ad una pandemia come non se ne vedevano da un secolo, a contatto con le sue ripercussioni di natura economica, il mondo è ormai ad un bivio e gli individui appaiono disorientati, preoccupati, angosciati. Ed allora, cosa fare?
Occorre scegliere un avvenire di “solidarietà universale”. Insieme alla epidemia, la solitudine costituisce un altro contagio, si sfaldano le reti che sorreggono la polis, si approfondiscono le divisioni fra gli Stati, le culture, i continenti. Una comunicazione priva di mediazioni, soggetta alle sole pulsioni ed aliena dalla riflessione razionale, induce a chiudersi, illude a poter fare da soli.
Ma è indispensabile vivere della convinzione opposta, vale a dire quella – come detto – della “solidarietà universale”: non bisogna anchilosarsi, né, ancor meno, essere una società senza sogni, essendo, invece, necessario costruire un mondo diverso affinché esso abbia un futuro. Non limitiamo gli orizzonti, non confiniamoci ai lati della vita, ma dirigiamoci, con coraggio, verso traguardi nuovi. La notizia è che il presente può cambiare, che il futuro possiamo realizzarlo migliore, sebbene adesso siamo in guerra contro il covid e i suoi lunghi effetti socio-economici. La notizia è che un tempo nuovo può essere cercato ed innalzato, nell’opera di persone che ricordano di essere umane.
“Più che abilità ci servono gentilezza e tenerezza”, affermava Chaplin, ottant’anni fa. E “l’aereo e la radio hanno avvicinato la gente, la natura stessa di queste invenzioni, porta alla fraternità universale, all’unità di tutti noi”.
Questa è la direzione che la storia indica ad ogni tempo, in generale, ad ogni tempo difficile, in particolare. Uscirne tutti insieme, “investendo” su quella solidarietà che dissolve le nubi e dischiude un cielo diverso.
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