Provincia, il voto «a porte chiuse»: perché oggi non votano più i cittadini

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Provincia, il voto «a porte chiuse»: perché oggi non votano più i cittadini

Oggi si vota per il rinnovo della presidenza della Provincia di Salerno, ma chi pensa a file ai seggi, cittadini con tessera elettorale in mano e spoglio in diretta tv, siamo fuori strada. Perché? Perché le elezioni provinciali, dal 2014, non sono più elezioni popolari. È uno di quei casi in cui lo scollamento tra cittadini e istituzioni non è solo percepito, ma scritto nero su bianco in una legge. Quindi la domanda è legittima: perché i cittadini non votano più i presidenti delle province? E chi lo fa al loro posto? Per capirlo bisogna fare un passo indietro di dieci anni.

Tutto parte dalla Legge n. 56 del 7 aprile 2014, meglio nota come Legge Delrio, dal nome dell’allora Ministro per gli Affari Regionali Graziano Delrio, nell’ambito del governo Renzi. Obiettivo dichiarato: semplificare e razionalizzare l’assetto degli enti locali, in un’ottica di spending review. In parole semplici, si voleva “svuotare” le province di funzioni, potere e costi. La promessa politica era quella di arrivare presto all’abolizione vera e propria delle province con una riforma costituzionale. Spoiler: quella riforma non è mai passata.

Nel frattempo, però, le province vennero trasformate in enti di “secondo livello”, ovvero: non più eletti direttamente dai cittadini; ma votati solo da sindaci e consiglieri comunali del territorio provinciale e con poteri molto ridimensionati rispetto al passato. Alle urne, oggi, non ci sono i cittadini, ma una platea ristretta: tutti i sindaci e i consiglieri comunali della provincia di Salerno. Il presidente della Provincia viene scelto ogni 4 anni (mentre il Consiglio provinciale ogni 2 anni).

Cosa fanno oggi le Province? Le province non sono più quelle dei decenni passati, ma non sono affatto sparite. Mantengono tuttora competenze importanti, tra cui: manutenzione delle strade provinciali; gestione dell’edilizia e dell’organizzazione delle scuole superiori; pianificazione territoriale di area vasta (ambiente, mobilità, trasporti); alcune funzioni delegate dalle Regioni.

Insomma, meno potere rispetto al passato, ma ancora un ruolo chiave nel governo locale, soprattutto nei territori più vasti e compositi come la provincia di Salerno, che va dal mare del Cilento ai monti del Vallo di Diano. La riforma Delrio non è mai stata del tutto digerita. Da un lato, ha consentito risparmi sui costi della politica e ha alleggerito la macchina burocratica. Dall’altro, ha generato un deficit di democrazia: i cittadini non possono più esprimersi direttamente su un ente che, comunque, gestisce infrastrutture e servizi essenziali.

Non solo: essendo gli eletti provinciali espressione delle amministrazioni comunali, le elezioni provinciali diventano un riflesso degli equilibri politici locali, delle alleanze, degli accordi tra sindaci e dei giochi di corrente. Un voto sempre più politico e sempre meno “di territorio”. Diverse forze politiche, negli anni, hanno chiesto di ripristinare l’elezione diretta dei presidenti di Provincia. Ma ad oggi nulla è cambiato. La riforma costituzionale Renzi-Boschi del 2016, che prevedeva la soppressione definitiva delle Province, è stata bocciata dal referendum. Così, ci troviamo oggi in una terra di mezzo: le Province esistono, ma non sono né piene istituzioni democratiche, né enti tecnici puri. Sono lì, a metà strada. E oggi, mentre a Salerno si vota per la presidenza, il cittadino guarda da fuori, spettatore silenzioso di una partita che – almeno formalmente – non gli appartiene.

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