Punto nascita di Sapri: tra fiocchi rosa e azzurri, la paura di vedere chiuso un presidio indispensabile
| di Marianna Vallone
Un reparto che attende una decisione, con la speranza appesa a un filo. Il sole di un venerdì di primavera illumina l’ospedale Immacolata di Sapri mentre all’interno del punto nascita si respira un clima di incertezza. Qui, nel reparto di ginecologia e ostetricia, si combatte una battaglia silenziosa per la sopravvivenza di un presidio fondamentale per il territorio. Da un lato, la gioia di nuove vite che vengono al mondo, con fiocchi rosa e azzurri appesi alle porte. Dall’altro, l’angoscia di chi affronta un raschiamento dopo l’aborto, il dolore di chi ha bisogno di assistenza ginecologica h24, un servizio che questo reparto garantisce senza sosta. Ma per quanto ancora?
La minaccia di chiusura incombe su un presidio che non è solo un punto nascita, ma un riferimento essenziale per le donne del Golfo di Policastro, dell’alta Calabria, di Maratea, persino della provincia di Salerno e delle tante turiste che arrivano in estate. Un reparto che in un anno ha visto nascere 200 bambini con soli due medici ginecologi in servizio. Una realtà che non può essere valutata solo con il freddo metro dei numeri.
Eppure, la logica ministeriale è chiara: meno di 500 parti all’anno? Si chiude. Ma la sanità non è un algoritmo e qui, se si chiude, si mette a rischio la salute di un intero territorio.
Il dottor Bruno Torsiello, primario di ginecologia, ci accoglie con un sorriso stanco ma determinato. «Siamo sempre qui, giorno e notte, con due soli ginecologi per 200 parti l’anno. Se dovessimo ragionare solo con i numeri, negli ospedali con nove medici ci dovrebbero essere 900 nascite. Ma la sanità non è un’equazione, è un servizio essenziale».
La politica, invece, ragiona con i numeri. La direttiva ministeriale è chiara: i punti nascita con meno di 500 parti all’anno vanno chiusi. Un’analisi fredda, che ignora la geografia, i bisogni della popolazione, la sicurezza delle donne, e soprattutto che le nascite sono in calo ovunque. «Spero sia una bufera politica, ogni paio di anni si ripete questa storia», dice Torsiello. «Ma stavolta è più pericolosa, perché chiudere il punto nascita significa chiudere un presidio fondamentale per la salute delle donne».
L’Asl di Salerno aveva provato a mettersi al riparo, creando un’unità operativa semplice come appendice di Vallo della Lucania. Una soluzione di compromesso, che però non basta a dissipare le incertezze. E l’incertezza è il nemico peggiore della sanità: quando le donne perdono fiducia nel loro ospedale, smettono di venire. E allora sì che i numeri crollano.
Sapri non è solo il basso Cilento. Il suo ospedale serve un’area molto più vasta, accogliendo mamme dall’alta Calabria, da Maratea, persino dalla provincia di Salerno. E poi c’è il turismo. Sapri vive di servizi, e il turismo è fatto di servizi. Si pensi ai tanti visitatori che necessitano di dialisi o di assistenza medica. Chi garantirebbe loro cure adeguate se si iniziasse a smantellare l’ospedale?
Due giovani ostetriche, arrivate da Napoli, scuotono la testa. «A Napoli sei un numero. Qui invece le donne trovano un’assistenza attenta e personalizzata, vengono in ambulatorio senza fare file interminabili. Non possiamo perdere questa realtà». Con le ostetriche e infermiere ogni donna è una storia da accompagnare con cura e umanità.
Eppure, i dati parlano chiaro: nei primi tre mesi del 2025, il trend delle nascite è in crescita del 10%. Un segnale positivo, che però rischia di essere ignorato da chi guarda solo alle soglie imposte dalla burocrazia.
Se questo reparto chiude, quante delle 200 mamme torneranno a partorire in Campania? Quante saranno costrette a migrare altrove, aumentando il peso su ospedali già sovraccarichi? La risposta è ovvia. Chiudere oggi significa chiudere per sempre. Perché un punto nascita non si riapre più. I locali saranno destinati ad altro, il personale si disperderà, le competenze si perderanno. E quando un servizio vitale scompare, il territorio muore un po’ alla volta.
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