Etimologia e proverbi
| di Emilia Di GregorioLa Quaresima da inizio ad un periodo di “penitenza” molto importante per il mondo della spiritualità cristiana. . Questo periodo comincia il giorno dopo il martedì di Carnevale, dura 40 giorni e chiude quelli che sono stati i tempi “grassi”, di abbondanza (come ben sappiamo sono stati i giorni di Carnevale) dando inizio al periodo di “magra”, una sorta di attesa prima della festa delle gemme a primavera quando tutto fiorisce e rinasce. Al centro della riflessione di questi giorni ci sono temi come la morte e la speranza in attesa della Pasqua di Resurrezione (nella cultura cilentana “Pasca re l’Ova”).
La Quaresima nella nostra cultura popolare viene personificata ed identificata nella moglie di Carnevale di cui piange la morte. Gli antichi proverbi ce la presentano come magra e vecchia, vestita di nero nell’atto del filare la lana. Questo particolare potrebbe essere un richiamo alle Parche della mitologia greca, dove il filare era simbolo dello scorrere continuo della vita destinata alla morte.
Nel Cilento era consuetudine dei nostri nonni costruire un pupazzo raffigurante una vecchia con un’arancia attaccata sulle spalle. Su quest’ultima venivano infisse quaranta penne di gallina bianca. L’intera figura veniva legata al balcone o appesa alla porta di casa ed era compito del più piccolo della famiglia strappare una di quelle penne al giorno per tutto il periodo della Quaresima. Anche qui la storia della simbologia ci suggerisce che la figura del bambino rappresenta la vita che sboccia ed il suo atto è un vero e proprio rito propiziatorio: strappando le penne il giovane fanciullo annullava i giorni di penitenza nell’attesa della rigenerazione. Lo stesso pupazzo consiste in una bambola di stoffa con i caratteri della non-prolificità e della non-festa (è rappresentata a lutto, vecchia e con le penne di una gallina che non produce più uova). È un po’ il gioco degli opposti: Carnevale allegro e opulento, Quaresima triste e scarna. Insomma, un periodo sicuramente ricco di religiosità e superstizione, accompagnate nel mondo cilentano da detti e versi del tutto originali.
La Quaresima in dialetto cilentano è la “Quarajésima”: l’etimologia di questo termine la ritroviamo nel napoletano “quatragesima” ma non nasconde dei collegamenti, dal punto di vista fonologico con “caresma” dal provenzale. Il pupazzo, più propriamente la “pupa re pezza”, prende il nome di “Quarantana” e la “rocca” con la quale “Quarajésima” fila la lana è chiamata “cunocchia”, termine etimologicamente molto vicino al latino CONÍCULA. Infine, proprio il termine “Pasca” sembra essere legato al provenzale “pasca”.
Qui di seguito trascriviamo una sorta di filastrocca che i nostri nonni sicuramente hanno tramandato a figli e nipoti:
Quarajésima sicca, sicca,
che nci puorti into sta trippa?
Nci porto casoe òva:
Quarajésima nova, nova.
Quarahésima sicca, sicca,
che nci tieni into sta trippa?
Nci tengo na bella fiasca:
fa’ venì viétta Pasca.
Quarajésima sicca, sicca,
che nci mitti into sta trippa?
Nci metto acqua santa:
Patri, Figliu e Spiritu Santu.
Come possiamo notare tutta la composizione verte sul paragone tra il periodo di “grasso” e il periodo di “magro” fino agli ultimi due versi in cui si evocano simboli cristiani.
La nostra tradizione attribuisce a questa maschera fantasiosa anche aneddoti “simpatici” per raccontarla a grandi e piccini. A tal proposito ecco un’altra strofetta cilentana:
Quarajésema cuossi-stòrta
jia girànno pe into l’òrta,
se jettào pe nu muro
e se ruppètte l’uósso ru culo.
Quarajésema cuossi-stòrta
jia arrubbànno menèstra a l’òrta,
la ‘scuntào Carnaluvàro
e `a pigliào cu nu palo.
Quarajésema cuossi-stòrta
a lu spitàle se ne jètte
e ‘ncapo re quaranta juórni
accussì dda’ fernètte.
©Riproduzione riservata