Quattro anni fa la legge sulle Unioni civili, Cirinnà: «Ha regalato felicità a migliaia di coppie»
| di Redazionedi Giangaetano Petrillo
Ha acquisito popolarità sul piano politico e sociale grazie alla sua lotta per l’approvazione della legge 76/2016, appunto nota come legge Cirinnà, che ha istituito le unioni civili in Italia. «Ha regalato immensa felicità a migliaia di coppie», ci dice Monica Cirinnà, senatrice per il Partito Democratico. A trent’anni da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rimosso l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali, molti sono stati i traguardi raggiunti nel campo dei diritti dalla comunità LGBTQ+. «Oggi c’è una coscienza molto più viva della necessità di lottare per proseguire sulla strada del riconoscimento della piena eguaglianza».
Senatrice, quando avremo anche in Italia una legge contro l’omotransfobia?
Spero molto presto. La Camera dei Deputati, poco prima del lockdown, era pronta a portarla in Aula, sulla base di un buon compromesso tra le forze di maggioranza. Sono fiduciosa che il lavoro riprenderà appena possibile, e mi sto impegnando per questo, anche perché questo periodo di emergenza sanitaria e di confinamento ha fatto emergere con grande forza il peso delle disuguaglianze. Tutte: quelle che riguardano i diritti sociali, ma anche quelle che riguardano i diritti civili.
Senatrice, quattro anni fa entrava in vigore la legge sulle unioni civili. È cambiato qualcosa in questi quattro anni?
La legge sulle unioni civili, prima di tutto, ha regalato immensa felicità a migliaia di coppie, finalmente riconosciute dall’ordinamento giuridico e non più invisibili. Allo stesso tempo, la legge ha scavato in profondità nel tessuto sociale e culturale del paese, e posso dire che oggi c’è una coscienza molto più viva della necessità di lottare per proseguire sulla strada del riconoscimento della piena eguaglianza.
Gli episodi di intolleranza e discriminazione sono ancora una realtà frequente.
Questo è vero, purtroppo. Ma è anche vero che c’è più coraggio nel denunciare ed è sempre più forte l’indignazione collettiva di fronte a questi episodi. Questo è uno dei motivi per i quali il percorso di riconoscimento e protezione dei diritti delle persone LGBT+ deve proseguire, anzitutto con una buona legge contro l’omotransfobia. Il paese è pronto.
In che direzione deve ancora andare l’impegno per i diritti civili, servono altre leggi?
Certo che sì. Anzitutto, come detto, la legge contro l’omotransfobia. Ma, come ho ricordato in occasione del quarto anniversario dell’approvazione della legge sulle unioni civili, è il momento di cambiare passo e imboccare con decisione la strada per il riconoscimento della piena eguaglianza e dunque: matrimonio egualitario e tutela dei diritti delle bambine e dei bambini delle famiglie arcobaleno, che stanno ancora soffrendo – in modo per me inaccettabile – gli effetti di un compromesso al ribasso che mi ha ferito molto e continua a farmi male.
Perché leggi sul matrimonio egualitario e contro l’omotransfobia non vengono inseriti tra i criteri di adesione all’Unione Europea? Sarebbe un passo rivoluzionario per la cultura occidentale.
Va detto che l’Unione europea non ha competenza specifica su questi temi. Allo stesso tempo, è vero che sia la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, sia la giurisprudenza della Corte di giustizia impongono di non discriminare le persone LGBT+: penso alla sentenza Coman, che ha tutelato la circolazione del partner omosessuale anche verso stati membri che non riconoscano le unioni (in quel caso, la Romania), o alla recentissima sentenza Taormina, che ha affermato che non è possibile dire pubblicamente – come aveva fatto l’avvocato – che non si sarebbero mai assunte persone omosessuali nel proprio studio. Sono segnali importanti, che ci fanno capire che in Europa si sta consolidando una cultura antidiscriminatoria, pienamente in linea con i principi che guidano la nostra convivenza di europei: è grandissima, in questo, l’attenzione del Parlamento europeo, e sono fiduciosa che questi stessi principi guideranno l’azione dell’Unione anche in relazione alle nuove adesioni.
Seppur laico, il nostro Stato è profondamente permeato dal pensiero cattolico. Secondo lei potrà mai esserci una conciliazione culturale tra i diritti civili rivendicati e la Chiesa di Roma?
Il mio faro è la laicità dello stato, ben presente nella nostra Costituzione, che separa nettamente la sfera civile da quella religiosa, pur riconoscendo – come è giusto – il valore del sentimento religioso nello sviluppo della personalità. Come dico spesso, però, lo stato deve fare lo stato, e le chiese devono fare le chiese: questo vale anche per la Chiesa cattolica. Devo anche dire, però, che negli ultimi anni – grazie al pontificato di Francesco – sul tema dei diritti civili si è ricostituito un sano equilibrio tra le due sfere, caratterizzato da reciproco rispetto. Dunque, rispetto pieno per le scelte religiose di ognuno, ma allo stesso tempo riconoscimento di spazi di libertà per le scelte di vita altrui: allargare il campo dei diritti non lede nessuno, ma semmai crea armonia nella società.
Questo confinamento ha fatto emergere quanto la natura e l’ambiente risentano dell’azione pericolosa dell’uomo.
Prima ancora, direi che la stessa violenza con cui si è diffusa l’epidemia rappresenta in sé un monito. Abbiamo reso la vita nel mondo sempre meno sostenibile, senza curarci delle conseguenze delle nostre azioni, pensando magari solo al profitto e non anche alla tutela della natura e dei diritti degli animali (per esempio, nel campo dell’industria alimentare). Mi auguro – e lavorerò per questo – che anche alla luce del dramma che abbiamo vissuto saremo sempre più capaci di integrare la prospettiva della sostenibilità ambientale nell’articolazione di tutte le politiche pubbliche. Abbiamo visto quanto possono essere gravi le conseguenze di una cecità prolungata verso l’esigenza di preservare l’armonia tra attività umane ed ecosistema.
Il caso della giornalista Botteri prima e di Silvia Romano poi, ci ha mostrato quanto ancora esista una cultura patriarcale e machista, spesso promossa anche a livello istituzionale da politici come Salvini, Putin e Trump.
C’è ancora molto lavoro da fare, ed è vero che la responsabilità di alcuni leader – in primo luogo proprio Salvini, Putin e Trump, ma aggiungerei Bolsonaro – è gravissima. A loro guardano tante persone, e ogni loro parola ha un peso formidabile nel dibattito pubblico. Resto sempre molto colpita dalla facilità con la quale si riesce a vomitare rabbia, soprattutto verso le donne. Ma credo anche che ciò sia dovuto al fatto che la libertà e l’autonomia delle donne faccia ancora molta paura. E che faccia paura in modo particolare proprio a quegli uomini che amano nascondere le proprie debolezze dietro al machismo e alla esaltazione della virilità. Per questo, la soluzione è soltanto una: riconoscere sempre maggiore libertà alle donne, promuovere la loro piena cittadinanza, civile e sociale. Dunque, diritti, libertà di scelta, ma anche tutele sul lavoro e piena parità salariale e nell’accesso alle cariche pubbliche.
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