Reato di tortura: abolire o no?
| di Nicola SuadoniNumerosi atti internazionali affermano che nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti: tra questi, la Convenzione di Ginevra del 1949, relativa al trattamento dei prigionieri di guerra; la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 (ratificata dalla L. 848/1955), la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 (ratificato dalla L. 881/1977), la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000. La maggior parte di tali atti si limita a proibire la tortura ma non ne fornisce una specifica definizione.
Dopo un articolato iter parlamentare e recependo quanto sancito dalla convenzione di New York del 1984 l’articolo 1 della legge n. 110 del 2017 ha introdotto nel codice penale – titolo XII (Delitti contro la persona), sez. III (Delitti contro la libertà morale) – i reati di tortura (art. 613-bis) e di istigazione alla tortura (art. 613-ter), connotando l’illecito in modo solo parzialmente coincidente con la Convenzione ONU del 1984 che, in particolare, definisce la tortura come reato proprio del pubblico ufficiale.
L’articolo 613-bis c.p. punisce con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque, con violenze o minacce gravi ovvero agendo con crudeltà cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza ovvero che si trovi in situazione di minorata difesa, se il fatto è commesso con più condotte ovvero comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.
Rispetto all’art. 1 della Convenzione ONU del 1984, che prevede una condotta a forma libera da parte dell’autore del reato, l’art. 613-bis prevede esplicitamente che la tortura si realizza mediante violenze o minacce gravi o crudeltà(ovvero con trattamento inumano e degradante).
La necessità della pluralità delle condotte (violenze o minacce) non sembra, quindi, consentire di contestare il reato di tortura in presenza di un solo atto di violenza o minaccia. Peraltro, dalla formulazione del testo si realizza il reato di tortura anche qualora si sia determinato un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. In tale ultima ipotesi, per la contestazione del reato, si dovrebbe prescindere dalla pluralità delle condotte.
Sono poi previste dall’art. 613-bis fattispecie aggravate del reato di tortura:
- la prima, conseguente all’opzione del delitto come reato comune, interessa la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio dell’autore del reato, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio; la pena prevista è in tal caso la reclusione da 5 a 12 anni (era da 5 a 15 anni nel testo Camera).
- il secondo gruppo di fattispecie aggravate consiste nell’avere causato lesioni personali comuni (aumento fino a 1/3 della pena), gravi (aumento di 1/3 della pena) o gravissime (aumento della metà). Il legislatore ha precisato che anche tali fattispecie aggravate derivano “dai fatti” indicati dal primo comma e non “dal fatto” quindi, anche in questo caso, il reato aggravato si perfeziona solo in presenza di una pluralità di azioni;
- le altre fattispecie aggravate riguardano la morte come conseguenza della tortura nelle due diverse ipotesi: di morte non voluta, ma conseguenza dell’attività di tortura; di morte come conseguenza voluta da parte dell’autore del reato.
La legge 110 introduce, poi, nel codice penale l’art. 613-ter con cui si punisce l’istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura. In particolare, è prevista la reclusione da sei mesi a tre anni per pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso.
In conseguenza di detta riforma viene modificato anche l‘art. 19 del testo unico immigrazione (d.lgs. 286/1998): sono così vietate le espulsioni, i respingimenti e le estradizioni ogni volta che sussistano fondati motivi di ritenere che, nei Paesi nei confronti dei quali queste misure amministrative dovrebbero produrre i loro effetti, la persona rischi di essere sottoposta a tortura. La disposizione – sostanzialmente aderente al contenuto dell’art. 3 della Convenzione ONU – precisa che tale valutazione tiene conto se nel Paese in questione vi siano violazioni “sistematiche e gravi” dei diritti umani.
Nel marzo di quest’anno si è assistito ad un vero scontro tra maggioranza e opposizione in merito ad una proposta di legge tesa ad abrogare il reato di tortura introdotto nell’ordinamento italiano dopo un tormentato iter parlamentare.
A presentarla sono alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, i quali hanno affermato che “l’incertezza applicativa in cui è lasciato l’interprete” con le norme introdotte nel 2017, “potrebbe comportare la pericolosa attrazione nella nuova fattispecie penale di tutte le condotte dei soggetti preposti all’applicazione della legge, in particolare del personale delle Forze di polizia che per l’esercizio delle proprie funzioni – spiegano i firmatari nella relazione delle Pdl – è autorizzato a ricorrere legittimamente anche a mezzi di coazione fisica”. “Se non si abrogassero gli articoli 613-bis e 613-ter, potrebbero finire nelle maglie del reato in esame comportamenti chiaramente estranei al suo ambito d’applicazione classico, tra cui un rigoroso uso della forza da parte della polizia durante un arresto o in operazioni di ordine pubblico particolarmente delicate o la collocazione di un detenuto in una cella sovraffollata”.
“Ad esempio, gli appartenenti alla polizia penitenziaria rischierebbero quotidianamente denunce per tale reato a causa delle condizioni di invivibilità delle carceri e della mancanza di spazi detentivi, con conseguenze penali molto gravi e totalmente sproporzionate”. “Il rischio di subire denunce e processi strumentali – osservano i deputati di FdI – potrebbe, inoltre, disincentivare e demotivare l’azione delle Forze dell’ordine, privando i soggetti preposti all’ applicazione della legge dello slancio necessario per portare avanti al meglio il loro lavoro, con conseguente arretramento dell’attività di prevenzione e repressione dei reati e uno scoraggiamento generalizzato dell’iniziativa delle Forze dell’ordine”.
Il ministro Nordio ha anche lui preso posizione sulla questione, tanto che, rispondendo ad un’interrogazione parlamentare, ha dichiarato che “il Governo non ha nessuna intenzione di abrogare il reato di tortura, ma vi è soltanto un aspetto tecnico che deve essere rimodulato, perché così com’è strutturato ha delle carenze tecniche di specificità e tipicità, che devono connotare la struttura della norma penale”.
Per Alessandro Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione, è “bizzarro che fino al 2017 l’Italia non avesse il reato di tortura, in violazione degli obblighi internazionali”. Quando il reato è stato introdotto, ricorda Scandurra, “alcuni si sono lamentati perché poco efficace. Il tempo ha invece dato prova che la modifica al nostro codice penale è stata utile. In primis perché ha agito sulla prescrizione. Prima che ci fosse il reato di tortura si procedeva per reati con tempi di prescrizione più brevi ma, a fronte di indagini difficili e lunghe, spesso interveniva la prescrizione. In secondo luogo è cambiato l’approccio. Da quando esiste il reato di tortura c’è una maggiore consapevolezza, sia tra i detenuti sia tra gli operatori. Alcune condotte gravi, sono chiaramente inquadrate come reato e non tollerate”.
“L’Italia – prosegue Scandurra – è uno stato di diritto e si finisce in carcere quando si viola la legge. Non può dunque essere il carcere un luogo d’illegalità. Prima davanti a certe condotte c’era un’impunità di fatto. Perché non c’era il reato. Adesso che il reato c’è, abrogarlo significa esprimere una chiara volontà politica. Si tratta di una scelta dolosa di legittimare la violenza senza pudore”.
In realtà, come confermato anche dal Guardiasigilli, non si è mai parlato di abrogazione integrale del reato di tortura ma della necessità di applicare delle modifiche, attesa la difficile interpretazione degli articoli introdotti nel 2017 nel codice penale. E’ evidente che le condotte criminose de quo siano da mantenere nel nostro codice, seppur con modifiche tecniche, che consentano agli operatori del diritto un approccio più lineare e concreto alla loro applicazione.
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