Tradizioni nel cuore del Cilento Antico: la festa di San Giovanni Battista
| di Emilia Di GregorioLa tradizione ci insegna che San Giovanni morì decapitato per ordine di Erode, al quale rimproverava la convivenza con la cognata Erodiade. La donna, indignata, voleva la morte del predicatore, ma Erode si opponeva. Un giorno Salomè, figlia di Erodiade, si esibì in una danza dei sette veli che deliziò gli occhi di Erode. Questi le promise, come ricompensa, di soddisfare un qualsiasi suo desiderio. La ragazza, influenzata dalla madre, chiese la testa di Giovanni Battista su un piatto d’argento. Erode, per non venire meno alla sua promessa, fu costretto ad acconsentire ed ordinare la condanna. Un’antica leggenda cilentana narra che la notte di San Giovanni, tra il 23 e il 24 giugno, una trave di fuoco attraversi il cielo e su di essa ci siano la madre, Erodiade, e la figlia, Salomè. Queste, disperate, vagano nel cielo ripetendo: “Mamma mamma pecché u’ decisti, figlia figlia pecché u’ facisti”.
La sera del 23 giugno, si raccoglieva in una bottiglia l’acqua di sette fonti diverse e, aggiungendo un bianco d’uovo, si metteva sul balcone o sulla finestra, esposta tutta la notte alla luce della Luna. Al mattino, la persona più anziana della casa “leggeva” il disegno che si era formato grazie all’albume: la barca simboleggiava la partenza, un uovo annunciava una prossima maternità e così via. Dopo che per tutta la notte erano stati accesi i falò, che tenevano lontani i demoni e proteggevano le coltivazioni, secondo la tradizione, tocca al fuoco più importante fare la sua parte. È per questo che all’alba, anche nel sole c’è qualcosa di misterioso: i nonni raccontano che il 24 giugno la sfera è più luminosa del solito e sembra quasi che a delimitarne il suo contorno ci sia un cerchio di fuoco che gira instancabilmente ed il fenomeno è visibile per qualche ora. Ciò è strettamente legato ad antiche credenze che forniscono una lettura del tutto originale dei movimenti astronomici. La corsa delle stagioni diventa protagonista di tutte le leggende sulla base di ciò che accade nel cielo: il 24 giugno il sole ha appena superato il punto del solstizio e comincia, impercettibilmente, a decrescere sull’orizzonte. Questo “cambio di percorso” del sole diventa simbolo del ripartire del ciclo della vita. Inoltre, chi tra le ragazze, riusciva a vedervi la testa di San Giovanni decapitato, la quale rimbalzò tre volte, si sarebbe sposata entro l’anno.
Per prevedere il futuro anche le “erbe di San Giovanni” facevano la loro parte: “Quando la lavanda sente arrivare San Giovanni, vuole fiorire”. È questo un proverbio esemplare, infatti, erbe come la lavanda, l’iperico, la verbena, l’artemisia, venivano legate in mazzetti dal numero di nove e servivano a scacciare ogni malattia. Con alcune erbe era possibile fare “l’acqua di San Giovanni”, si mettevano in un recipiente colmo d’acqua, messo fuori casa dove rimaneva per tutta la notte. La mattina successiva, le donne usavano quest’acqua per lavarsi: oltre a prevenire il malocchio, aumentava le bellezze e preservava dalle malattie. I fiori della lavanda, spighetta di San Giovanni, venivano usati dalle giovani spose per profumare il corredo e preservare la biancheria dal pericolo delle tarme, con un gradevole profumo, ma soprattutto, serviva per scacciare gli spiriti maligni.
Ad integrazione di quanto detto finora, c’è da aggiungere che a questa festa sono particolarmente legati i comparatici che si stringono nel nome del Santo. Non a caso, nei nostri piccoli paesi, si indicano il padrino o la madrina di battesimo e cresima con l’espressione “San Giuanni”, volendo sottolineare la parentela spirituale tra il compare e la famiglia. E “A lu San Giuanni non si rice mai re no”, quindi non ci si può rifiutare di tenere a battesimo o cresima qualcuno.
Nelle campagne tra Celso e Casalvelino c’è una piccola chiesetta, la zona è conosciuta da tanti come “San Giuanni ‘mpieri costa” oppure “San Giuanni Beneritto”, ed è qui che, tra la natura incontaminata e la suggestione delle credenze di cui abbiamo parlato finora, anche ieri, come ogni anno, sono giunte tantissime persone per fare visita al loro protettore. La Santa Massa si celebra, solitamente, sul sagrato, ci sono dei teli a proteggere dal caldo sole estivo e tra il suono della natura si fa eco anche la voce dei fedeli che canta il tradizionale inno a San Giovanni. Pochi conoscono questo posto, chi vi fa visita arriva col cuore in mano, qualcuno porta una “cènta”, tradizionale dono votivo cilentano. Ogni anno prende vita una sensazione di magia che comincia la sera prima, con il rituale dell’acqua, si “infiamma” all’alba con il sole che sorge e continua con la festa. Qualcuno rimane a pranzo in campagna, è immancabile la grigliata. Poi, la sera, tutti in piazza, c’è il concerto con la banda musicale.
Forse tutte queste usanze e credenze faranno sorridere qualcuno, ma conservano tutto il fascino del mistero dei tempi antichi, quando non era la scienza a spiegare perché il sole si comportasse in quel modo strano e ai piedi del Monte Stella si era davvero legati a queste piccole grandi cose.
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