Sapri, condanna preside. Parla Niccolò: «Non l’ho mai vista»

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Sapri, condanna preside. Parla Niccolò: «Non l’ho mai vista»

«Avevo 18 anni quando sono volato giù da un lucernaio del liceo. Con la sentenza di condanna della Cassazione nei confronti dei due responsabili di quell’incidente, che ha segnato per sempre la mia vita, ho avuto giustizia». Probabilmente non voleva farlo, non in questo momento. Niccolò De Luca voleva restare insieme alla sua famiglia, ai suoi amici, magari discutere con loro di queste cose, magari metterci una pietra sopra. Ma, intanto, si ritrova a dover scrivere una lunga lettera «perché sono rimasto allibito e sbigottito dalle parole della dirigente scolastica dell’istituto Carlo Pisacane, rilasciate in un video». Ecco perchè scrive Niccolò.

Qualche giorno fa, i giudici della Corte di Cassazione, hanno rigettato il ricorso formulato dal legale di Franca Principe, la dirigente del Pisacane a cui fa riferimento Niccolò nella lettera. Per lei è stata confermata la sentenza di Appello e condannandola per lesioni colpose gravi ad un mese di reclusione con pena sospesa e con il beneficio della non menzione nel certificato penale, oltre che ad una provvisionale di 15.000 euro.

«Non sono entrato nel terrazzino per fumare come è stato detto e scritto fino ad oggi – sottolinea Niccolò nella lettera -. Quel giorno ero andato ad assistere all’ esame di maturità di mio più caro compagno. Mi trovavo nel corridoio quando all’improvviso sono caduto per un inciampo sul battente di un infisso di una porta-finestra finendo su un cupolino di plexiglass, posto non a distanza di sicurezza dal calpestio del corridoio , ma immediatamente dopo la porta finestra che collega il corridoio al lastrico solare . Inciampando sono finito su uno dei lucernai del lastrico solare. Poi il volo nel vuoto per otto metri a testa in giù fino a raggiungere il pavimento dell’atrio, il coma e l’intervento neurochirurgico. Dopo l’operazione a cranio aperto un caro medico mi disse: tu non hai rischiato la vita. Non si capisce il perché sei in vita». E tutti i i cittadini di Torre Orsaia, paese d’origine di Niccolò, accolsero questa notizia con il cuore pieno di gioia.

«Quanto esposto è comprovato ed avvalorato da testimonianze oculari e consulenze tecniche oltre ad essere acquisito agli atti di cui ognuno può prendere visione – spiega il giovane -. Questo processo sarebbe andato avanti anche senza la mia querela. L’ articolo 590 terzo e quinto comma c.p. , sancisce la procedibilità d’ufficio per i reati di lesioni colpose gravi e gravissime in casi determinati. Io non sono l’accusante. L’accusante è lo Stato (attraverso l’attività del Pubblico Ministero), io sono solo parte civile, parte offesa. Questo post, beninteso, ha finalità chiarificatrice e non accusatoria. L’avere giustizia, non significa vendetta e, dunque, subire una sentenza di condanna dopo tre lunghi e scrupolosi e attentissimi gradi di giudizio, dove ognuno ha potuto mostrare le proprie ragioni in maniera uguale, capisco che è sempre spiacevole, ma non irragionevole. Le sentenze si rispettano».

«Tengo a concludere – dice Niccolò – che il mio difficilissimo percorso di recupero e di ritorno alla normalità è stato confortato dal solo affetto della mia famiglia, dei miei carissimi amici e, perché no, anche da personalità legate al mondo scolastico come molti professori che hanno contribuito a formarmi e a cui devo senz’altro una parte dei miei successi. Oltre alle persone citate, non c’è stato più nessuno» sottolinea riferendosi all’assenza della preside. «Non l’ho mai sentita e ne vista. Mai, dico mai. Ne in veste istituzionale e nemmeno in forma solidale».

Insomma, Niccolò si è laureato, ha proseguito gli studi dopo quel maledetto incidente e sulla sentenza della corte d’Appello non vuole nemmeno entrare nei meriti. Sentiva forte il bisogno di esternare alcune cose, lo ha fatto in modo semplice ma allo stesso tempo forte. Un po’ come la forza che lo ha aiutato a superare quell’inferno, ora illuminato dalla bellissima luce della sua vita, quella che si è ripreso nella sala operatoria, quella che i medici pensavano avesse perso per sempre.

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