«Se mi licenzi pubblico le foto di tua moglie»: attesa sentenza per operaio azienda bufalina
| di Redazione
Una vicenda dai contorni inquietanti si è conclusa ieri nelle aule del tribunale di Salerno, dove si è svolto il processo a carico di un uomo di origine indiana, accusato di estorsione nei confronti del titolare di un’azienda bufalina.
Secondo quanto ricostruito dalle autorità giudiziarie, l’uomo avrebbe minacciato il proprio datore di lavoro con la diffusione di materiale compromettente riguardante la moglie di quest’ultimo, con cui aveva intrattenuto una relazione sentimentale anni prima. Il materiale, composto da foto e video a sfondo sessuale, era stato conservato dall’imputato, che lo avrebbe usato come leva per scongiurare un possibile licenziamento dall’azienda bufalina ad Altavilla Silentina.
La vicenda risale a diversi anni fa, quando tra l’uomo e la donna, moglie del proprietario dell’azienda, sarebbe nato un rapporto intimo. Una relazione che, stando alle testimonianze, si sarebbe poi interrotta, ma non prima che l’uomo potesse archiviare numerose prove fotografiche e video.
Il timore di perdere il lavoro e, con esso, il permesso di soggiorno in Italia, avrebbe spinto l’imputato a minacciare il suo datore: “Se mi licenzi, pubblico tutto online”, avrebbe detto. Un ricatto in piena regola, che ha innescato l’intervento dei carabinieri e portato all’apertura di un’indagine da parte della Procura di Salerno.
Il processo, celebrato davanti alla seconda sezione penale, ha visto l’imprenditore e la moglie costituirsi parte civile. Dopo la raccolta delle testimonianze e l’esame del materiale sequestrato, il procedimento è giunto in fase conclusiva. La sentenza è attesa per il mese di luglio.
Per l’uomo, il rischio di una condanna è concreto. Se dichiarato colpevole, oltre al reato di estorsione, dovrà probabilmente affrontare anche il rimpatrio, perdendo definitivamente la possibilità di restare in Italia.
Resta da chiarire in aula se il materiale oggetto di minaccia sia effettivamente stato utilizzato per fini estorsivi o se si tratti di un tentativo maldestro di evitare l’espulsione. In ogni caso, la vicenda ha sollevato non pochi interrogativi sull’uso illecito di contenuti personali e sulle pressioni psicologiche che possono derivarne, soprattutto in contesti di vulnerabilità lavorativa e sociale.
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