Agnesina Pozzi: “Sono medici questi? non si può difendere l’indifendibile”
| di Redazione"Il reato di tortura non è previsto dalla legge italiana". "Continueremo finchè non sia fatta giustizia". Sono due delle frasi-narranti che scorrevano sul pannello, tra le sequenze del video-verità dell’ enorme sofferenza inflitta a Francesco Mastrogiovanni quasi un anno fa, nel reparto di psichiatria dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania. L’occasione per mostrare a tutti la cruda evidenza di quanto è stato fatto a Mastrogiovanni, fino a portarlo ad un’atroce morte, è stato l’incontro di ieri mattina svoltosi nell’aula consiliare di Vallo.
In una sala popolata da poche decine di persone, i componenti del comitato "Verità e giustizia per Francesco Mastrogiovanni" sono stati promotori dell’ennesima iniziativa volta ad informare la comunità su quanto accaduto e a chiedere con forza che si arrivi ufficialmente ad una verità acquisita e alla determinazione delle responsabilità. Verità e giustizia, appunto.
Il dibattito è stato aperto proprio da Giuseppe Tarallo e Giuseppe Galzerano, i due che insieme a Vincenzo Serra hanno avviato l’opera del comitato. Il primo si è riferito soprattutto al senso "civile" delle iniziative portate avanti da "Verità e giustizia per Franco", anche in numerose città della penisola. Diverse sono state infatti le partecipazioni, come quelle a Pisa, a Bologna, ad Ancona, a Salerno, a Roma. Tutte volte a rimuovere quella patina anestetizzante che sembra aver avvolto in maniera inesorabile un Paese che non si indigna più per nulla, neanche per un uomo morto crocifisso ad un letto di ospedale, dopo 82 ore di contenzione illeggittima. Galzerano ha parlato di un Trattamento sanitario obbligatorio disposto dal sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, "in maniera del tutto illegittima, senza nessun certificato medico alle spalle. E’ stata calpestata ogni legge". E di una contenzione "disumana, spietata. Neanche nelle carceri borboniche o staliniste un uomo è stato legato per tanto tempo, con tanta disumanità". "Era un uomo pacifico. Era un maestro, dunque un servitore dello stato. Chiediamo verità e giustizia per Franco, per la famiglia, per la società"
Poi è arrivato il momento del video, quello registrato dalle telecamere di sorveglianza del reparto di Psichiatria. Il video della disumana permanenza di Mastrogiovanni al "San Luca", la prova indiscutibile degli abusi perpetrati. Le parti del video che sono state montate e proiettate ieri sono molte di più di quelle mostrate durante la trasmissione "Mi manda rai tre", lo scorso aprile – comunque sia esaurienti e già sufficienti a descrivere il dramma. Ne scaturisce un racconto completo, raccapricciante, tragico. Un racconto filmato che risulta imprescindibile, per chi voglia rendersi conto davvero di quello che è accaduto in un ospedale italiano dal 31 luglio al 4 agosto 2009. E, con ogni probabilità, di quello che accadeva in maniera sistematica in quel reparto.
Cominciano a scorrere le prime immagini. In sala cala un silenzio che pesa tonnellate, che sembra una preghiera. Come se tutti i presenti pregassero qualcuno affinchè il video mostrasse una realtà che non fosse tanto ignobile quanto quella che tutti sanno essersi effettivamente verificata, in quel reparto, in quel letto. Come se tutti desiderassero, nel profondo del loro cuori, di poter osservare sullo schermo uno di quei sanitari che, ad un certo punto, avesse slegato Franco Mastrogiovanni. Che l’avesse assistito, nutrito, curato. Che non l’avesse lasciato solo con quella cieca sofferenza. Non è andata così.
Gli occhi e la carne dei presenti, ieri mattina, hanno visto e sentito un uomo abbandonato senza pietà. Legato ad un letto, senza un motivo valido. Appariva tranquillo, Francesco Mastrogiovanni, al suo arrivo in reparto. Anche perchè era già stato sedato sul luogo dell’incredibile "cattura". Mangia con calma, "è collaborativo", si legge su una delle frasi didascaliche montate tra una sequenza video e l’altra. Viene nuovamente imbottito di farmaci. E poi crocifisso al letto. Il delirio mostrato dal video è fatto di medici e infermieri che non slegano mai Mastrogiovanni. E’ fatto di un uomo nudo a cui mettono praticamente subito un catetere. E’ fatto di una contenzione illecita e progressivamente rafforzata. E’ fatto di una flebo ogni tanto; è fatto di assoluta mancanza di alimentazione. E’ fatto degli "sguardi di sfuggita" dei "medici". E’ fatto di un pannolone. E’ fatto di un uomo che cade dal letto, e a questo rimane ancorato, perchè legato. E’ fatto di sangue sul pavimento, di ferite. E’ fatto di un primario che entra per qualche secondo, saluta, "sempre di sfuggita", e se ne va. E’ fatto di un uomo che soffre, in maniera evidente, già dalle prime ore di contenzione. E’ fatto di sudore. E’ fatto di un infermiere che, infastidito, ad un certo punto asciuga quel sudore, per poi gettare con stizza l’asciugamano sul viso di Franco. E’ fatto di altre persone legate ad un letto. E’ fatto di un uomo che, in alcuni momenti, cerca di liberarsi, di scendere dalla croce. E’ fatto di sguardi nel vuoto, di una bocca aperta. E’ fatto di indifferenza. E’ fatto di un maestro che non entra nel letto, perchè è alto. E’ fatto di una sofferenza indicibile, evidente, progressiva. E’ fatta di una mancanza di decenza umana che ha il sapore della routine. E’ fatta di un uomo che muore da solo, di notte, dopo quasi quattro giorni di tortura. E’ fatta di "medici e infermieri" che se ne accorgono dopo oltre cinque ore dal decesso. Di sanitari che tentano un massaggio cardiaco, dopo quasi sei ore. E’ fatto di un elettrocardiogramma a un uomo che è morto da ore.
Poi quella scritta sul pannello, la dichiarazione di intenti del comitato, e di quella parte di società civile che si è posta con convinzione al loro fianco: "Continueremo finchè non sia fatta giustizia."
Dopo il video, non è stato semplice riprendere il dibattito. E recuperare la fiducia nel genere umano. C’è riuscita con professionalità e passione civile Agnesina Pozzi, il medico che ha realizzato una relazione rispetto alle operazioni terapeutiche messe – o non messe – in atto in quei terribili giorni d’estate. Pozzi ha appurato subito che ieri in sala non c’era nemmeno un medico della zona. " E’ una cosa grave, a mio avviso." – ha commentato "evidentemente non c’è la libertà necessaria per partecipare a una cosa che doveva avere in primo piano proprio i medici locali, a difendere la propria dignità di professionisti". Prima dei rilievi tecnici, Agnesina Pozzi ha specificato che la mancanza di organizzazione, di corsi di formazione e di aggiornamento, di meritocrazia, di sani incentivi, la struttura clientelare dietro le nomine, può provocare dei disastri; in questo senso ha fatto riferimento alle grosse responsabilità dei dirigenti, oltre che dei medici e degli infermieri, anche nel caso della morte di Mastrogiovanni. Poi ha esposto alcuni dei punti salienti della perizia effettuata, mettendo in evidenza l’assenza totale di procedure volte all’alimentazione, l’insufficiente idratazione fornita ad un uomo di oltre novanta chili, le "imprecisioni" riscontrate sulla cartella clinica. Inoltre, si è soffermata a lungo sulle modalità di somministrazione dei farmaci: dati senza sapere cosa avevano già dato al paziente nel momento della cattura, senza fare le dovute analisi, senza valutare l’incompatibilità di uno dei farmaci con l’epatite di cui era affetto Mastrogiovanni, senza tener presente eventuali problemi cardiaci. Senza convocare i familiari per chiedere lumi, per informarli. Senza nessuna diagnosi o indagine approfondita. "Non si può difendere l’indifendibile. Questi non sono medici", ha concluso Agnesina Pozzi.
Poi l’intervento di Antonio Manzo, giornalista de Il Mattino, il primo che ha scritto sulla vicenda del maestro di Castelnuovo. "Il video è la prova incorruttibile, inamovibile. Ma è anche l’immagine di un martirio cristiano. La solitudine di Franco, in quei giorni, è una solitudine che andrà descritta, anche in futuro", ha detto con voce pacata ma inflessibile. Quasi solenne. "Una parte di giustizia è stata già raggiunta, grazie al lavoro certosino di alcuni magistrati e di alcuni componenti delle forze dell’ordine. Ma devo dire che non vedo il motivo per il quale un Paese che sbatte in galera un extracomunitario perchè non ha il permesso di soggiorno, non abbia fatto conoscere un po’ di carcerazione preventiva a chi ha ammazzato Franco Mastrogiovanni. Non vedo perchè – non un medico o un banale infermiere – qualcuno che ha potere di indirizzo e di controllo non debba varcare per un po’ le patrie galere. "
Manzo ha sottolineato l’impegno degli investigatori e del medico legale che ha scongiurato l’insabbiamento del caso; eccezioni, nel quadro di "un’Italia quasi totalmente corrotta". Ha parlato della propria volontà di dedicare il premio di giornalismo che riceverà fra qualche settimana "ad una persona che non conoscevo, a Franco Mastrogiovanni". Ha denunciato la totale latitanza delle istituzioni, che non hanno disposto "alcuna inchiesta ammnistrativa per capire cosa succedeva in quel lager a Vallo della Lucania". Il giornalista ha poi focalizzato l’attenzione su un "buco nell’inchiesta", su cui si deve far luce e sul quale pare siano in corso ulteriori indagini degli inquirenti: "Perchè è stato firmato il Tso? Con quali presupposti? A quale scopo?" . "La magistratura deve continuare la propria azione di ricerca della verità" ha poi precisato, facendo una inquietante denuncia pubblica: "Ci auguriamo che la magistratura ci seguirà di qui a poco in una nuova denuncia: se è vero che nel reparto di psichiatria di Polla si utilizzano gli stessi metodi che hanno portato Franco alla morte e se è vero che dietro un giro di denaro si celano sperimentazioni di farmaci su malati psichiatrici".
Altri due giornalisti hanno preso di seguito la parola.
Il primo è stato Angelo Pagliaro, cronista che scrive su "A- Rivista anarchica", il quale ha descritto le peculiarità umane e civili del maestro cilentano, per poi presentare agli astanti un interessante confronto tra una cartella clinica di un paziente psichiatrico del regime fascista, risalente agli anni ’20, e quella di Mastrogiovanni. La prima riportava scrupolosamente gli esami, le terapie e i controlli dei parametri vitali continuamente effettuati dai medici; nella seconda, risalente ai "democratici e civili" tempi odierni italici, niente di tutto ciò.
L’altro è stato Massimo Romano, giovane giornalista del mensile "Cilento", anche lui impegnato sul campo nella ricerca della verità su quanto accaduto a Mastrogiovanni, in particolare in relazione alla fase di disposizione del Tso. "restano domande a cui non è stata data risposta: perchè sono state impiegate 15 persone per prenderlo sulla spiaggia di Castelnuovo?; perchè nessuno si ricorda a d Acciaroli del presunto scorazzare di Franco con lauto nell’isola pedonale del paese? Perchè il Tso è stato eseguito nel territorio di un altro comune, rispetto a quello in cui era stato disposto ( a Pollica da Vassallo)?"
Il dibattito si è concluso con l’intervento di Girolamo Giglio, il presidente dell’Unasam, sigla che racchiude le associazioni impegnate per la salute mentale. Giglio ha spiegato le problematiche relative all’impostazione strutturale del sistema dei servizi psichiatrici; tra le altre cose, ha specificato che in Italia, su 350 Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, solo 15 non prevedono l’utilizzo di mezzi di contenzione meccanica. Poi, con nettezza, dopo aver comunicato l’intenzione dell’Unasam doi costituirsi parte civile nel processo che comincerà lunedì, ha ribadito: "A nostro avviso la contenzione è una pratica da abolire totalmente, non ci possono essere mezze misure a riguardo. Su questo si dovrebbe condurre una battaglia seria e convinta. La contenzione è semplicemente la privazione della libertà personale, questa è la verità".
Importante e significativa è pure la presa di posizione di "Avvocati senza frontiere", che ha inviato una nota, letta in sala da Giuseppe Tarallo. Nel documento, il presidente Pietro Palau Giovannetti specifica che l’associazione si costituirà parte civile; inoltre, avanza delle perplessità in relazione alla sostituzione di Francesco Rotondo, il pm che ha seguito le indagini e che è stato trasferito a Salerno, con Renato Martuscelli "che già nel 1999 chiese ed ottenne la condanna a circa tre anni di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni, nei confronti di Francesco Mastrogiovanni, seppure ben sei persone presenti ai fatti avessero testimoniato in suo favore, denunciando che Francesco viceversa era stato vittima dell’aggressione dei carabinieri. Condanna che venne poi integralmente riformata in appello, con condanna dello stato italiano per l’ingiusta detenzione di Francesco. L’allarmante scelta del nuovo Pm, appare quindi quantomeno incauta e sconveniente, per cui ci si auspica che il capo dell’ufficio provveda alla sostituzione del pm Martuscelli, sussistendo quantomeno ragioni di opportunità."
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