«Sono un perseguitato, non un mafioso», la testimonianza di Luciano Montechiaro
| di Andrea Passaro«Nei miei confronti è in atto una persecuzione, non sono un mafioso». Con queste parole Luciano Montechiaro, imprenditore di Agropoli-Capaccio, impegnato nel commercio di auto di lusso, imbarcazioni, compravendite immobiliari, esce allo scoperto per denunciare pubblicamente «quanto sto subendo per non essere sceso a patti con un soggetto che indossava la divisa». Il 67enne, tra gli altri beni, ha subìto la confisca di una villa sita in località Moio Alto ad Agropoli. Montechiaro tiene a precisare che «non esiste nei miei riguardi alcuna denuncia per aver commesso reati da malavitoso». Anzi «alla richiesta di indagini da parte dei magistrati inquirenti, nel 1997, la D.D.A. rispose: “L’attenta lettura degli atti consente di escludere la possibilità anche in astratto di proporre misura di prevenzione ai sensi della normativa antimafia. Costituisce infatti consolidato principio giurisprudenziale quello per il quale l’applicabilità di tale normativa presuppone il positivo accertamento di un’associazione avente i caratteri di cui all’art. 416bis c.p. (associazione mafiosa). Allo stato non è dato cogliere l’esistenza di alcuna associazione camorristica rispetto alla quale il proposto possa ritenersi ”indiziato” di appartenere”». «La persecuzione – racconta Montechiaro – inizia nel ’82 quando un militare mi propose l’acquisto di una sua proprietà (un terreno con annesso rudere) ad un prezzo 10 volte superiore. Al rifiuto di sottostare a tale “richiesta” scattò l’operazione punitiva, di cui ancora oggi ne pago le spese». A seguito dell’omicidio del Generale Dalla Chiesa venne emanata la legge “Rognoni-La Torre”, che introdusse per la prima volta nel codice penale la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulo illecito di capitali. Io «quale indiziato subii la perquisizione della casa di residenza e il sequestro dei beni di proprietà della mia famiglia, concretizzati in confisca nel luglio 1983. Seguirono altre azioni a mio danno arrivando finanche a confiscare la casa in cui vivevo con la mia famiglia ad Agropoli il cui valore è stato sovrastimato allo scopo di aumentare il divario tra il patrimonio da me posseduto e la capacità reddituale. Poco tempo dopo l’ultimazione della stessa infatti, nel 1993, la casa, oltre ad altri beni intestati ai miei figli, venne confiscata. E ad oggi – conclude – la stessa versa in uno stato di abbandono, senza cancelli, dove la sera vanno a banchettare gli extracomunitari».
©
©Riproduzione riservata