Sulle torri della costiera cilentana
| di Redazionedi Angelo Gentile
Anche ad uno sprovveduto e distratto viaggiatore/turista non può sfuggire la presenza visiva e massiva di costruzioni grigie e corrose dal tempo e/o dagli uomini in prossimità della costa, quasi sempre sugli scogli, a volte su promontori a picco sul mare come sentinelle, silenziose, scontente, solitarie, sperdute, soleggiate. Esse sono testimoni storici di un’epoca lunga e difficile per chi abitava i territori circostanti, avendo assistito a scene sanguinose e violente, a volte ultima spes proteggendo nel pietroso ricovero uomini impauriti davanti al nemico spietato venuto dal mare a predare.
Il territorio del basso Cilento è costellato da queste costruzioni costiere ovunque, a testimoniare lo sforzo di opporsi a chi veniva dal mare, di riuscire comunque a vivere, sebbene in posizione interna. Del resto le coste del salernitano presentano due grossi ed estesi rilievi (costa amalfitane e cilentana) divisi da una pianura (pestana), con picco che arriva ai 1899 metri s l m.
Quelle che oggi possiamo ammirare sono le ultime e più numerose, una vera linea difensiva che dalla capitale del Regno arrivava fino allo Stretto, contando 395 torri. Nel caso della provincia di Salerno (antico Principato Citra), da Positano a Sapri se ne contano 111, alcune più antiche (26) di epoca svevo o angioina, altre (12) volute nel 1532-33 dal vicerè don Pedro Alvarez di Toledo e altre ancora (71) volute nel 1559 dal vicerè don Pedro Afan de Ribera. A queste vanno aggiunte due in posizione interna, ma sempre in contatto visivo fra loro, caratteristica comune a tutte le torri.
Le più antiche del Cilento sono citate nei Registri della Cancelleria Angioina per il peso delle Universitas che dovevano badare alla custodia marittima e alla panificazione per il personale delle stesse torri: Palus Nudus di S. Severino de Camerota; Amphorisca di Camerota e San Giovanni a Piro; Caricla del Cilento; Licosa di Castri Abbatis; Issica di Castrimaris Bruca; Tresine di Agropoli. Le più importanti erano quella di Porto degli Infreschi che era un notevole attracco naturale, Molpa per il controllo dell’attracco e la strada che portava all’interno e quella di Castellammare la Bruca per vigilare la strada d’accesso all’interno lungo il fiume Alento.
In tutto il Cilento le torri costiere sono 54: (Capaccio) Sele, Paestum; (Agropoli) San Marco, San Francesco; (Castellabate) Zappino, Torricella, Cannitiello, Ogliastro; (Montecorice) Arena, Timbarossa, San Nicola, Agnone; (San Mauro Cilento) Mezzatorre; (Pollica) Caleo, Macchia, Punta; (Casal Velino) Capo Grosso, Dominella; (Ascea) Sciabica; (Pisciotta) Fiumicello, Acqua Bianca, Passariello, Ficaiola, Torruta, Cala di Marco; (Centola-Palinuro) Capriola, Lago, del Porto, Prodese, Spartivento, Monte d’Oro, Carillo, Calafetente, Capo, Giudeo, Molpa, Arco; (Camerota) Mingardo, Spacco della Pietra, Finosa, d’Arconte, dell’Isola, Lajella-Poggio, Zancale, Cala Bianca, Frontone, Infreschi, Calamoresca; (San Giovanni a Piro) Trarro, Spinosa, S. Anna, Oliva; (Ispani) Capitello; (Vibonati) Petrosa; (Sapri) Buondormire, Capobianco. La torre di Rotoli ad Agropoli e Teano a Camerota erano in comunicazione diretta con i centri abitati interni.
Per chi naviga costeggiando il territorio impressionante per la bellezza mozzafiato le torri sono sempre ben visibili e il viaggiatore è colpito nell’immaginazione, nel figurarsi quale tipo di peripezie i torrieri potevano vivere e non può non riflettere che l’uomo considera la costa un punto di arrivo, sì, ma anche un punto di partenza! E’ stata sin dall’antichità veicolo d’idee, scambi commerciali, ruberie e infatti le coste abitate nell’età classica si spopolarono con la crisi dell’Impero Romano e poi della sua caduta: tante le popolazioni “barbariche” che discendevano la penisola per predare o solcavano il Mediterraneo con lo stesso scopo. La prima città a cadere fu Molpala cui residua popolazione si rifugiò a Centola o a Camerota. L’elenco deilutti è lungo e non può essere trattato in questo articolo.
Quale era il compito dei guardiani? E’ facile immaginare che dipendeva dal motivo della costruzione (avvistamento o difesa), dall’epoca e dall’esperienza di chi organizzava la difesa costiera, ma un vero e proprio elenco lo possiamo ricostruire solo sotto la data del 5 settembre 1586 ed è un documento della Regia Camera della Sommaria rivolto ai caporali, ai guardiani e compagni “…delle turrj marittime che sono state fatte e s’hanno da far guardia et defensione delle Marine dell’invasioni de corsali infedeli” .
In primis costoro non potevano far mercanzia all’interno delle torri, né ammassare “alcuna sorte de vittuvaglie quali grano, olio, legume, carne salata, caso, né altra specie de grassa, né tampoco seta, zafferana, cannaci panni et altra qualsivoglia specie di merce o di mercanzia prohibite estrahemose, ovvero siano sogiette alli reggji diritti che se conducesse da dentro o da fora il Regno…”. Le stesse andavano invece nei luoghi soliti, sotto vigilanza dei Regi Ufficiali, Mastro Portulano e doganieri fondachieri, escludendo altri modi.
Secondo, chiunque ”padroni marinari, et altre persone che capiteranno per mare o per terra a salvarsi in dette Turre” dovevano contribuire alla difesa e custodia contro qualsiasi invasione, senza pretendere alcun premio. Potevano costoro accettare libero “beceraggio o cortesia”. Le barche ed i vascelli che transitavano in vista delle torri non dovevano essere costrette a scendere a terra se non volevano, ma lasciate libere di proseguire il viaggio.
Terzo, proibizione assoluta per il personale di tener sia sotto la torre che nelle marine vicine proprie barche ”né tengano prattica con le barche d’altrui se non che attendeno alla guardia in le medesime Turre come sonno tenuti”.
Quarto, possono tenere vettovaglie solo per una settimana, rinnovabili, mentre per i castelli era possibile immagazzinare riserve di sei mesi per volta (questo nel periodo angioino).
Quinto, non possono vendere vino assolutamente.
Sesto, in caso di naufragio “o robba errante per il mare de naufragio, o de getto che facessero li vascelli, non se debbiano impacciare li detti Caporali et compagni ma siano obbligati incontinente darne aviso alli locotenenti delli mastri Portulani delle terre più vicine acciò le possano recuperare per la Regia Corte, come spetta a loro offitji.”
Settimo, i guardiani delle torri non potevano fare “prohibitione o veto, alli pescatori in lo pescare che voleranno fare in dette marine et lochi dove sono dette Turre, ma li debbiano lassare pescare liberamente, come s’ha costumato fare per il passato, senza farse dare, né domandare alcuna cosa”. Ottavo, i guardiani non devono chieder o prendere alcunchè “né domandare denari legna vittuvaglie né sorta di robbe dall’Università, ma debbiano restare contenti de loro pagha che la Regia Corte le farà dare per mano delli Percettori Provinciali mese per mese”. Queste precisazioni ripetute suggeriscono un modus operandi dei Caporali delle Torri che potevano avanzare pretese sulla popolazione, forti della loro posizione sociale e d’ufficio e arrotondare la loro paga che trovava origine sempre dalla stessa popolazione. Tra le modalità d’informare di eventuali avvistamenti, sin dall’inizio fu scelta la segnalazione fumogena di giorno e del fuoco di notte: due fumate significava due vascelli e cosi vià fin dove era possibile segnalare. Ce lo confermano i Registri della Cancelleria Angioina, ma tali usi rimangono nel tempo con l’aggiunta dell’opera dei Cavallari che in epoca vicereale raggiungevano i paesi per avvertirli di pericoli. Nella stessa epoca le università pagavano al Fisco 22 grana a fuoco (famiglia) se entro un raggio di 12 miglia dalla torre, 11 grana se più distanti. Il servizio di guardia costava grana 17 e un cavallo a fuoco. Il comando della torre era affidato ad un caporale spagnolo, invalido, con tanto di atto notarile, ma doveva saper leggere onde ottener la “patente” di torriere o castellano.
Le torri svolsero la loro funzione difensiva o di avvistamento solo in parte: i ritardi nella costruzione, i difetti della stessa (imbrogli dei costruttori), gli errori come l’uso di acqua di mare per l’impasto, l’ordine di costruzione quasi al finire delle incursioni barbaresche, ne limitarono l’utilità o la vita, anche se c’è da dire che nel Decennio francese, all’inizio dell’Ottocento, le torri ripresero vita per arginare le invasioni dei “regnicoli” e dei nemici inglesi o anche per la quarantena obbligatoria a chi sbarcava sulle coste (“purgare la contumacia”). Ulteriore uso a metà Ottocento quando alcune di esse furono utilizzate quali sede di semaforo ad aste e poi ottico.
Dott Prof Angelo Gentile
Ps: i riferimenti archivistici e bibliografici nelle mie pubblicazioni.
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