Sulle tracce dei monaci basiliani: lo spettacolo del cenobio a San Giovanni a Piro

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Sulle tracce dei monaci basiliani: lo spettacolo del cenobio a San Giovanni a Piro

di Giangaetano Petrillo ( Foto ©Andrea Sorrentino )

San Giovanni a Piro trae il suo toponimo dal monastero italo-bizantino di San Giovanni Battista, fondato sotto la rupe del Monte Bulgheria intorno al 990 d.C. da monaci provenienti dall’Oriente, indicando quindi nel nome del borgo cilentano la provenienza dei suoi fondatori venuti dalle terre dell’Epiro, nel senso di “ab Epiro”. Il complesso monastico, snodo della storia di questa comunità, è costituito da un corpo di fabbrica principale che comprende la chiesa con annessa la cappella laterale, e da una torre di guardia. Dell’influenza basiliana in questo territorio, così come in gran parte del mezzogiorno d’Italia, ne abbiamo accennato precedentemente, riguardo la vita di San Nilo. San Giovanni a Piro, e come vedremo in seguito anche altre località del Cilento, ci permette uno sguardo più ampio rispetto al ruolo di comunità svolto da questi monaci. La loro presenza non è legata esclusivamente alla sfera spirituale. Essa è sì prevalente e determinante nella ritualità di alcuni culti legati all’influenza liturgica della chiesa orientale, ma non esclusiva. Un ruolo prevalente i monaci lo assunsero nella coltivazione e nella messa a coltura dei campi, così come nella semplice e ordinaria amministrazione della comunità che di volta in volta andava costituendosi proprio attorno al monastero che precedentemente vi era stato fondato.

Questa sacralità della fondazione di un monastero è un aspetto molto interessante e stimolante, che può riportarci all’origine dei tempi, risalendo persino a passi biblici legati alla tradizione giudaica. Infatti è proprio nell’Antico Testamento, precisamente nella Genesi, nel racconto su Noè, che si legge della fondazione di un tempio consacrato a Dio appena il diluvio cessò. In realtà esso stesso è un passaggio ripreso dall’epopea mesopotamica di Gilgamesh, dove anche qui lo stesso Gilgamesh edifica un tempio dedicandolo alla propria divinità. Ma senza andare indietro nel tempo, basta ricordarsi di quanto accadeva nel mondo greco appena gli stessi fondavano una nuova polis. Il primo assolvimento era appunto quello di individuare una zona, sacralizzarla, ed edificarvi un tempio dedicandolo ad una delle tante divinità; un esempio lo abbiamo non poco distante da qui, precisamente a Paestum coi suoi tre templi.

Quindi, la fondazione di un monastero come rituale viene presumibilmente ripreso dalle tradizioni precedenti a quella cristiana, cioè quella giudaica, mesopotamica e pagana. Questo non deve meravigliarci, ma soltanto convincerci di quanto ancestrale sia il rapporto dell’uomo con un’entità divina, sia essa il Dio giudaico-cristiano o una delle tante divinità pagane. Questo rituale era prevalentemente legato ad una celebrazione di ringraziamento alla propria divinità dopo aver superato una dura prova, come poteva essere un diluvio, un nubifragio o la fuga da una persecuzione. Ed è quanto accaduto più di mille anni fa a San Giovanni a Piro. Questi monasteri descrivono solo parzialmente la portata del flusso migratorio che, a partire dalla fine del X secolo, diffuse la presenza di monaci e comunità italo-greche in questa zona. Dalla distribuzione dei siti individuati appare evidente quanto il fenomeno sia stato diffuso e quanto il suo sviluppo possa aver inciso sulle dinamiche del popolamento. Le storie di questi monaci siculo-calabri ci consegnano uno scenario storico molto specifico. Si tratteggia la vicenda privata di interi nuclei familiari che decidono di lasciare la loro terra d’origine a causa di una situazione generale resa insicura dall’occupazione araba dell’isola e dalle continue lotte di potere. In questi racconti si delinea anche un processo di ricostruzione dei legami familiari spezzati dalla fuga e di quelle reti di solidarietà tipiche delle comunità emigrate.

Tra l’anno 1000 e 1100 soltanto pochi monasteri avevano conservato la loro indipendenza, mentre nella maggioranza dei casi erano stati inglobati da enti appartenenti all’Ordine benedettino, come diretta conseguenza della politica religiosa normanna orientata a favorire le autorità delle realtà monastiche più ricche e potenti del Mezzogiorno. Proprio questa parte della Campania meridionale ha conservato integri interi complessi monastici legati al fenomeno del monachesimo italo-greco. In ogni modo non c’è pervenuta, purtroppo, nessuna notizia certa circa la data di fondazione di San Giovanni a Piro. Tuttavia agl’inizi dell’anno 1000 d.C. il cenobio era già in una fase attiva, confermata da due importanti testimonianze che risalgono proprio a quegli anni. L’enkòlpion, una croce pettorale d’oro del XI secolo contenente una reliquia della Vera Croce, circostanza che assegna al cenobio un’importanza rilevante dato che il possesso e la distribuzione delle reliquie della Vera Croce erano esclusiva prerogativa della corte imperiale bizantina, veniva probabilmente indossata dall’abate in occasione di solenni celebrazioni; e un manoscritto del 1021, conservato oggi nella Biblioteca Laurenziana di Firenze, redatto dal monaco Luca per l’abate Isidoro, contenente le vite dei santi bizantini e alcuni scritti di Giovanni Crisostomo.

Questo manoscritto, insieme ad un altro custodito nella Biblioteca Apostolica Vaticana attribuito anch’esso ad un amanuense di San Giovanni, lasciano supporre che lo stesso cenobio fosse sede di uno scriptorium. Non molte sono le notizie negli anni successivi, ma risulta una visita nel marzo del 1458 da parte del visitatore apostolico Athanasios Chalkéopoulos. A quest’epoca il cenobio non era più abitato da monaci e si trovava in uno stato di decadenza. Venne assegnato al cardinale Bessarione e successivamente affidato all’umanista greco Teodoro Gaza che nel 1466 redasse gli Statuti della Terra di San Giovanni. Alla fine del XVII secolo il monastero venne incluso tra i beni del Seminario della diocesi di Teggiano-Policastro. Grazie all’arrivo di questi monaci, genti provenienti dall’Oriente, che insieme alle genti locali danno vita ad un’esperienza insediativa che sarebbe stata fra le più straordinarie di questo territorio. Lo avrebbe caratterizzato fortemente.

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