Dei “miserabili figli di Troia” all’ombra della torre Angioina
| di Giuseppe GalatoUna sorta di fanfara stonata annuncia da lontano l’inizio dello spettacolo: un organetto, una tromba, un violino ed un violoncello fanno capolino sul palco, in fila, accompagnati dai propri esecutori.
Matteo Belli, "capo-banda", è vestito con una sorta di bianca giubba militare. Si schiarisce la voce, intanto che il maestro Paolo Vivaldi si siede al pianoforte accompagnato da Elena Lera e Teresa Ceccato al violino e al violoncello, ed attacca con un’irrefrenabile presentazione dei "fatti narrati finora", fra il serio ed il faceto, in maniera del tutto grottesca, utilizzando la sua voce come uno strumento musicale vero e proprio, creando pattern, modulandola in continuazione, accompagnandosi con la gestualità del corpo, intanto che narra le vicende della guerra di Troia ed introducendoci al successivo viaggio di Enea.
L’aura ironica creata dalla breve quanto intensa e incalzante presentazione (con tanto di autoironia, quando Belli definisce il teatro come qualcosa che «qualcuno chiama "arte", qualcuno chiama "spettacolo" e qualcuno chiama "sempre meglio che lavorare"») viene spazzata via dai toni tragici dell’opera di Virgilio.
Matteo Belli fa da voce narrante ed interpreta i vari personaggi tratti dal VI Libro dell’Eneide, Enea, Sibilla, Caronte, Palinuro, Anchise, modulando la propria voce (con un uso particolare degli armonici come osservato in varie etnie e conosciuto in occidente grazie agli studi di personaggi come Demetrio Stratos) e mutando il proprio modo di recitare, le movenze, le posture, come fosse di volta in volta posseduto dagli spiriti dei narrati.
Le musiche di Paolo Vivaldi, a metà fra il classico e la musica contemporanea (i cui accenni sono sia nella composizione dei brani che nell’esecuzione, quando si trova a suonare le corde del pianoforte non in maniera canonica, pigiando i tasti, ma percuotendole direttamente dalla cassa armonica), incalzano e rendono il ritmo, già teso grazie all’interpretazione di Matteo Belli, serrato.
Uno spettacolo intenso, duro, come una coltellata allo stomaco. Un viaggio negli inferi fino all’incontro con Anchise, padre di Enea, che dopo il commiato riconduce il figlio e la Sibilla alle porte dell’inferno: «Due sono le porte del Sonno: una è di corno da cui escono facili l’ombre che portano i sogni veri, l’altra di nitido avorio da cui mandano i mani i sogni falsi nel mondo. Anchise va dietro al figliuolo e alla Sibilla ancora parlando e infine li lascia su la porta d’avorio».
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