«Teste Mozze» di Franco Maldonato in scena a Roma al Teatro di Villa Lazzaroni
| di Marianna Vallone
Uno spettacolo tra storia e memoria prende vita portando in scena Teste Mozze, di Franco Maldonato che racconta una pagina intensa e poco conosciuta della storia. L’appuntamento si terrà domenica 16 febbraio, alle ore 17.30, al Teatro di Villa Lazzaroni di Roma. Il reading vedrà sul palco le performance di Ulderico Pesce, Gilda Ciao e Franco Maldonato. La performance è arricchita dalle suggestioni musicali di Luciano Orologi ai fiati e Stefano De Meo al pianoforte.
L’evento porta sul palco anche musiche e canti popolari provenienti dalla Basilicata e dal Cilento, con elementi scenici realizzati dal Liceo Artistico di Maratea. Teste Mozze si preannuncia come un viaggio emozionante tra memoria e riflessione, per riportare alla luce storie forse dimenticate e restituire voce a chi l’ha perduta.
Sinossi
Nell’estate del 1851, un parlamentare inglese porta all’attenzione del Ministro degli Esteri della Regina Vittoria la misteriosa scomparsa di un deputato del Regno delle Due Sicilie. I sospetti ricadono su un prete di Sapri, vicino alla Corte borbonica, per il suo passato di fedeltà alla dinastia sin dai tempi della reazione sanfedista del 1799.
Il governo napoletano tenta di soffocare la vicenda, ricorrendo a una campagna di discredito e coinvolgendo persino politici influenti come Disraeli e giornalisti al soldo di Ferdinando II di Borbone. Ma l’interrogazione in Parlamento viene discussa e il Ministro Palmerston, nonostante i tentativi di censura, si pronuncia sulla questione, denunciando l’assassinio. Per evitare lo scandalo, Ferdinando tenta di corrompere con diecimila ducati il giornalista del Times Errico Reford, che rifiuta. Il re, sospettando un tentativo di rialzo, aumenta l’offerta, ma una lettera compromettente viene intercettata e consegnata al Duca di Sutherland, che porta la vicenda alla Camera dei Lord, isolando il sovrano a livello internazionale.
Il deputato assassinato è Costabile Carducci, leader dell’insurrezione del Cilento, che nel 1848 costrinse Ferdinando II a concedere la Costituzione, anticipando le rivoluzioni europee dello stesso anno. Carducci, dopo essere stato rieletto, tenta di marciare su Napoli per ripristinare la Costituzione, ma viene intercettato ad Acquafredda di Maratea e brutalmente ucciso dagli uomini del prete di Sapri.
La prova definitiva del coinvolgimento diretto del Re emerge da una lettera inedita, in cui Ferdinando ordina alle truppe nel Cilento di coprire il delitto. Il sovrano non si limita a insabbiare l’omicidio, ma scatena una feroce repressione, arrestando decine di deputati, tra cui Poerio, Settembrini e Spaventa, e condannandoli alle peggiori prigioni del Regno.
Nel 1852, Ferdinando II si reca personalmente a Sapri per rendere omaggio al prete, ormai malato. Lo visita al capezzale, lo consola e, in segno di gratitudine, gli dona il sigillo reale, suggellando il patto di sangue che li lega. Gli inglesi, consapevoli del coinvolgimento diretto di Ferdinando, denunciano la sua complicità e l’arresto arbitrario di magistrati che avevano tentato di indagare. La vicenda spinge il Times a pubblicare un necrologio impietoso alla morte del Re “Ferdinando, Re delle Due Sicilie, è stato finalmente chiamato dal suo trono terreno dinnanzi al Tribunale cui dovrà rendere conto del suo governo. Durante la vita fece scorrere molte lacrime, poche ne saranno sparse per la sua morte.”
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