Ungheria e Italia: terre così diverse, così uguali
| di Antonella CasaburiNella fredda terra magiara, in cui l’erba è frustata dal vento e schiacciata dal ghiaccio, v’è una regione legata alla calda penisola italiana da una fitta corda millenaria: è il Dunántúl, la piccola regione dell’ Ungheria occidentale del trans – Danubio che i Romani chiamavano Pannonia.
La Pannonia, con le sue colline e le sue cittadine che guardano all’ occidente, è sensibilmente diversa dall’area orientale dell’ Ungheria, dagli sconfinati campi e dalla pianura della puszta.
Regione dell’Ungheria, la terra della Pannonia era una delle più orientali fra le province romane, una terra orgogliosa che oggi custodisce rovine e monumenti, città, anfiteatri e templi romani, come i maestosi resti dell’ Iside di Savaria, della Myracea di Gorsium, della Villa Ercole di Aquincum.
Le colline del Dunántúl hanno lo stesso carattere della Toscana etrusca: a dirlo è l’ esponente di punta del Nyugat, il maggior poeta del suo tempo, il più grande fra i traduttori della Commedia dantesca: Mihály Babits, che parla di affinità elettiva fra due Paesi, esaltando la latinità della Pannonia ungherese. Nato nell’antica città romana Alisca, Babits da fanciullo vedeva le tante monete romane che come un tesoro affioravano nelle vigne di famiglia quasi a chiedere di essere custodite nel museo cittadino; e ogni giorno assisteva a nuove, mirabili scoperte. Negli anni ’40 del ‘900 l’intellettuale magiaro che definiva l’Italia la sua seconda patria, oramai vecchio e moribondo si rivolse all’amatissima Italia, a quella sua seconda patria latina, dedicandole una celebre poesia che esalta l’affinità fra Italia e Pannonia. Babits è avvinto dalle città italiane dove i vicoli, come vene azzurre, brulicano di gioiosa vita; è attratto dagli archi e dai palazzi che testimoniano il passato splendore; è emozionato da portici, colonne e piazze luminose, al punto da provare le vertigini; osserva che l’azzurro cielo e le verdi colline italiane non hanno colore diverso da quello della patria oltre Danubio; e così chiude la sua magnifica lirica, ‘Italia’: “Un cuore italiano non può avere più tormento di tanti ricordi nelle piazze vetuste, sotto il suo antico cielo, di me quando vago per la tua terra, mia triste patria”.
Della forte presenza romana che aleggia in Pannonia scrive anche Árpád Tóth, che nel 1900 parla della sua città natale, Aquincum. Tóth, nell’elegia ‘Aquincumi kocsmában’ (In un’osteria di Aquinco), scrive delle vecchie pietre di Aquinco; del triste sole di Roma al tramonto; di popoli baldi; di alberi sanguigni nel tramonto; di un popolo morente in un’eterna vicenda, in un trasmigrare incessante; dell’ardore glorioso di un’aurora novella perché sulla tomba di tanti popoli spersi un giorno possa nascere una discendenza felice.
Dopo i Romani, in Pannonia giunsero i primi italiani per creare il grande regno cattolico di re Santo Stefano. Monasteri e basiliche presero dimora sulle colline della Pannonia gettando le basi del grande regno cattolico fondato da re Santo Stefano, che dall’anno 1000 legò per cultura e religione lì Ungheria occidentale all’Italia. Attorno al Velencei tó (lago di Venezia) si insediarono i primi intellettuali, artisti, scultori e pittori italiani che costruirono le magnifiche città e le corti dei re ungheresi. Rafforzando il legame con i re angioini di Napoli, gli italiani contribuirono alla magnificenza dell’Ungheria medievale e rinascimentale. E anche quando l’ Ungheria cadde dinanzi al Turco, travolta dalle guerre di religione, nelle fortezze difensive della Pannonia si leggeva e si parlava in latino: la Pannonia restò latina, restò cattolica! Patria degli scrittori magiari latineggianti, la Pannonia diede i natali ai grandi nomi che legano l’ Ungheria all’Italia: il vescovo Janus Pannonius, il primo poeta ungherese, che scriveva in latino e che in latino cambiò il proprio nome; strenui difensori della patria, come il conte Miklós Zrínyi, che educato dai Gesuiti custodì la cultura latina nel proprio castello e morì difendendo Szigetvár; i grandi del Romanticismo nazionale ungherese, che tanto s’intreccia con quello italiano, come Dániel Berzsenyi e Mihály Vörösmarty; i poeti moderni legati all’Italia come Mihály Babits, dalla cui sensibile voce traspare una classica limpidità.
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