Un’Italia in attesa
| di Redazionedi Gerardo Di Maio, editore “Giornale del Cilento”
Dall’inizio di questa pandemia COVID- 19, le autorità e i media ci hanno detto “mascherina, lavaggio mani, distanziamento”.
Da ormai due mesi o più, non si è provveduto a dare indicazioni esatte sul come e con quali modalità molte attività avessero potuto lavorare o organizzare il proprio lavoro, in funzione della sicurezza dei propri dipendenti e clienti, in vista di un seppur minimo segnale di apertura.
Tanto tempo perso che ha nuociuto in tanti rapporti e che sta generando un forte ritardo in diversi settori.
In questi giorni si parla di possibili date di apertura e di eventuali misure da adottare secondo direttive, in tema di sicurezza, provenienti dai Comitati Scientifici nazionali.
Si è nella più grande confusione e questo non ha consentito, e non consente, alle aziende una benché minima programmazione pratica delle singole attività, sia organizzativa interna che rapportuale con terzi, nonché economica, anche con eventuali finanziamenti o sostegni economici, al momento comunque a debito e non sempre accessibili.
L’incertezza regna in tante, se non nella maggior parte, delle attività con ripercussioni non solo economiche, ma soprattutto sociali e di sopravvivenza collettiva.
Incertezza su modalità e tempi di adeguamento, certificazioni e costi necessari per le riaperture, in relazione anche ai servizi e alle prestazioni da poter garantire.
Parliamo di quel pezzo di Italia che vive di turismo, cultura, storia o artigianato.
A gennaio, non in epoca virus, molte attività erano aperte e avevano in carico dipendenti, sia per la normale attività che per manutenzioni, che poi hanno dovuto fare ricorso alla cassa integrazione.
Questa emergenza, piombataci addosso come uno tsunami, ha portato a chiusure repentine e ad indirizzare il massimo delle forze sul grave aspetto sanitario, più che fondamentale in quel momento.
Quello che ci è mancato è stato un parallelo studio delle normative per una successiva riapertura della vita economica che, se effettuato, avrebbe potuto evitare, almeno in parte, laddove la sicurezza sanitaria lo avesse permesso, una brusca cessazione dei precedenti rapporti lavorativi; almeno parte delle energie aziendali avrebbero potuto essere indirizzate alla messa in sicurezza delle attività, senza perdere tempo e lavoro utili, nel rispetto primario della sicurezza sul lavoro.
Inoltre, in assenza di norme, nessuno ha potuto fare una programmazione di costi e prospettive, seppur a regimi minimi, anche al fine di salvaguardare professionalità interne alla propria azienda.
È mancata anche la fiducia nel futuro: imprenditori turistici, balneari, piccoli artigiani, ristoratori, come tanti altri, sono stati abbandonati senza riferimenti su possibilità lavorative e di sviluppo per una “Fase Due” o successive, tutto fino a data da destinarsi.
Nel settore turistico-alberghiero stagionale, le attività si ritrovano a non poter garantire prenotazioni, servizi e sicurezze, non solo per dipendenti e ospiti, ma anche per le comunità in cui operano, il tutto senza sapere su quali flussi e ricettività fare affidamento.
Un altro esempio è quanto sta succedendo sulle spiagge con le direttive che cambiano da regione a regione e di giorno in giorno (vedi distanze, divisori, pannelli e cupole).
Insomma, un ritardo ormai pesante, con strutture normalmente già operative che si ritrovano a dover affrontare da sole un momento di crisi, con imprenditori che, per non farsi trovare impreparati, cercano di raccapezzarsi tra normative di sicurezza che si ipotizzano per altri settori, con una programmazione 2021 bloccata ed il 1° giugno in arrivo.
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