“Uno dei quattro”, il libro di Orazio Ruocco su Pezzefierro e il miracolo di San Domenico

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“Uno dei quattro”, il libro di Orazio Ruocco su Pezzefierro e il miracolo di San Domenico

La storia è fatta di eventi, ma anche di racconti. E spesso, il confine tra realtà e leggenda si fa labile, quasi indistinguibile. È proprio su questa linea sottile che si muove Uno dei quattro (edizioni Del Faro), il nuovo libro di Orazio Ruocco, che riporta alla luce un episodio profondamente radicato nella memoria collettiva della comunità di Marina di Camerota. Un evento tramandato per generazioni, sospeso tra il racconto popolare e la riflessione storica, che l’autore ha voluto sottrarre al semplice passaparola per conferirgli una dignità storico-filosofica.

Sinossi – Nel tratto di mare prospiciente le coste del Cilento, tra le onde impetuose, si consuma la drammatica avventura di quattro marinai colti di sorpresa da una tempesta furiosa. Senza più alcun appiglio, se non le loro mani e la disperazione, si trovano in balia del mare. Poi, quando tutto sembra perduto, accade l’inspiegabile: una luce fioca e misteriosa squarcia il buio e li guida verso la salvezza. Prodigio, destino, semplice casualità? La storia di uno dei quattro protagonisti si fa racconto universale, oltre i confini della realtà, lasciando aperta la domanda che nessuno potrà mai risolvere del tutto. E se fosse un miracolo?

Orazio, cosa l’ha spinta a scrivere “Uno dei quattro”? Qual è stato il principale motivo che l’ha portata a raccontare questa storia?

Ritengo fosse giunto il momento di dare unità e rigorosità a questo evento, un evento che, ricordiamo, è entrato fortemente nella coscienza collettiva del popolo marinaro. Era necessario, secondo me, farlo uscire da un alveo prettamente popolare per conferirgli una dignità storico-filosofico- letteraria. Ne è venuto fuori un libro che, penso, costituisca un documento rievocativo attendibile ed esaustivo da trasmettere alle future generazioni.

Il suo libro racconta di un evento storico, ma lo fa con uno stile che mescola narrazione e riflessione personale. Come ha deciso di combinare questi due elementi nel suo racconto?

Una fredda rievocazione storica rischia di sfociare in una noiosa e tediosa collana di nomi, date, e luoghi senza vita, senza un’anima. L’avvenimento, data anche la sua presunta eccezionalità soprannaturale, si prestava ad una serie di considerazioni e riflessioni che investono la dimensione umana di ciascuno. Insomma, una ghiotta occasione che non mi son lasciato sfuggire.

Il protagonista, Domenico Autuori, Pezzefierro, è rappresentato in modo molto umano e genuino. Quali sono stati gli aspetti che l’hanno colpito maggiormente del suo carattere e della sua vita?

Da quello che mi è stato raccontato dal figlio, risulta difficile ricavarne un ritratto personale fedele alla sua originale identità caratteriale. Certi aneddoti, però, fanno propendere per la definizione di un tipo “sui generis”, un po’ guascone e sbombone, spesso propenso alle esagerazioni ed enfatizzazioni. Questo non inficia, però, l’indole di fondo di una persona semplice, ingenua e mite.

Ci ho pensato un po’ prima di fare questa domanda, ma sento il dovere di farlo verso i lettori. Secondo lei, che idea si è fatto: fu un vero miracolo?

E chi può dirlo. Tra l’altro son trascorsi ormai novant’anni circa da allora, e non abbiamo tangibili riscontri se non la tradizione orale di questo evento. Personalmente non credo esista una verità. Seguo la scuola filisofica che afferma che esista soltanto la continua ricerca della verità.
La “ricerca della verità” è un’attività continua, e la verità non è qualcosa che possiamo acquisire in modo definitivo, ma è un traguardo che cerchiamo costantemente di avvicinare attraverso tappe successive. Detto questo, non mi sottraggo alla domanda, e ti rispondo mutuando le parole di Enrico Gandolfini che ha gentilmente recensito questo libro; “Non lo so, ma a noi piace credere di sì.”

Nel libro parla di un evento che ha assunto, nel tempo, connotazioni miracolose. Crede che ci sia una linea sottile tra realtà e leggenda in questo caso? Come ha interpretato questo aspetto nella sua scrittura?

Non solo credo che esista, ma penso addirittura che questa linea si confonda a tal punto che è difficile stabilire dove finisca l’una e dove inizi l’altra. In questa vicenda umana mi pare di entrare in una scena surreale dove la realtà e l’immaginario viaggino in parallelo. Io stesso, ho vissuto emozioni parallele dettate ora dall’una ora dall’altra, leggenda. Alla fine ne sono uscito in uno stato confusionale. Resta quello che ho provato mentre la raccontavo e le emozioni che saprà suscitare in ciascun lettore.

Nel suo libro cita il detto “Verba volant, scripta manent”, sottolineando l’importanza della scrittura nel preservare la memoria. Quanto è stato difficile ricostruire gli eventi?

Molto. Teniamo conto di una cosa. Le fonti di notizie a cui abbeverarci si sono, ormai, pressoché prosciugate tutte. I pochissimi soggetti depositari di qualche informazione, che si contano sulle dita di una sola mano, sono quelli che all’epoca dell’evento avevano soltano 6 o 7 anni. Ho avuto, quindi, pochissime testimonianze dirette. Ho dovuto, insomma, assemblare il più possibile, in modo organico, fatti e suggestioni spesso confusi ed incerti. Ma alla fine, un quadro di insieme è venuto fuori che, mi auguro, risulti piacevole ed interessante per i lettori.

Nel raccontare questa storia, sembra porre anche delle riflessioni più ampie sul destino e sul libero arbitrio. Come si è confrontato con queste tematiche durante la scrittura del libro?

E’ un tema che, penso, sia molto pertinente, ed assolutamente necessario all’economia del testo. Non dimentichiamoci che parliamo di un possibile miracolo, e allora la domanda che dobbiamo porci è: quell’evento straordinario fu determinato dall’imprudenza dei marinai che, nonostante le minacce climatiche vollero/dovettero uscire con la barca, oppure era già tutto scritto in Cielo o dettato dal Fato? Del resto la contumelia libero arbitrio/fato la si porta avanti da secoli. La tesi filosofica del Fato prevalse nel Medievo. Col Rinascimento, ed una nuova concezione dell’uomo concepito come unico “autore del proprio destino”, si affermò la tesi contraria. Oggi è un inerrogativo prettamente personale. A me piace pensare ad una soluzione mediana come spiego nel libro. Voglio credere che ogni uomo, almeno ogni tanto, è.on grado di spezzare le catene e deviare un poco il corso del proprio destino.

L’evento narrato nel libro ha un forte impatto emotivo e collettivo per la comunità di Marina di Camerota. Qual è l’importanza, per lei, di raccontare storie che riflettono l’identità e la memoria di un intero popolo?

La cultura di un popolo mostra le caratteristiche sociali e comportamentali di una collettività. Questa mi vien da dire. non si acquisisce per eredità biologica. Un bambino che cresce, per esempio, la fa propria guardando gli atti degli adulti. Narrare le storie e i personaggi che prendono vita nelle pagine dei libri, è fondamentale. La letteratura, più o meno nobile che sia, trasmette i valori, le tradizioni, la storia e la visione del mondo di una comunità. È quanto, nel mio piccolo, mi auguro di aver fatto.

C’è un messaggio che spera i lettori, e soprattutto gli abitanti di Marina di Camerota, traggano dal suo libro? Qual è l’emozione o la riflessione che vorrebbe restasse loro dopo aver letto “Uno dei quattro”

Bella domanda! Anzitutto mi auguro che il lettore giunga alla fine del libro. Vorrà dire che, in qualche modo, ho attratto la sua attenzione e il suo interesse. Poi, su cosa vorrei che gli restasse… beh! Mi piacerebbe che si fermasse un poco a riflettere. Nella mia prefazione parlo di un ipotetico “banco di prova” davanti a cui fermarsi per pensare. Esercitare il pensiero, qualche v9lta, è un dovere che dobbiamo a noi stessi, soprattutto in quest’epoca in cui prevalgono, consentitemi la metafora poco elegante, “la stitichezza mentale e la diarre verbale”.

Infine, le chiedo: c’è una parte di lei che pensa di aver messo nel libro, magari sotto forma di riflessione personale, che ha preso forma durante la scrittura di “Uno dei quattro”?

Quando si scrive qualcosa è molto difficile fare, anche inconsciamente, delle scelte narcisistiche, nel senso che si voglia informare o colorire il testo soltanto con alcuni aspetti del proprio sentire. Si scrive accendendo il calore di tutta la propria sensibilità, con la passione dei propri valori, con la forza delle proprie più intime convinzioni. Quando uno scrive è sincero, si da in pasto agli altri nudi, così come si è, nella propria interiorità, senza fingimenti e inganni. D’altra parte, simulare o dissimulare sentimenti o emozioni non vere non pagano. È difficile ingannare il lettore il quale, invece, vuole entrare nella vita dell’autore, offerta nella sua .genuinità, una volta che quest’ultimo, per il tramite del suo scritto, gli ha aperto la porta.invitandolo ad esplorarla. Anche in questo libro, come in tutti I miei scritti, ci sono io, nell’ integrità dei miei connotati esistenzial ed emozionali..

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