Vassallo, ora la verità è vicina: cosa aveva scoperto il sindaco-pescatore?
| di RedazioneÈ l’inchiesta sull’omicidio del sindaco pescatore di Pollica Angelo Vassallo, ma sembra la trama di una puntata di Narcos. Eppure non siamo in Messico né in Colombia. Qui non è Juarez, né Medellin. Siamo in Cilento, ad Acciaroli.
I gommoni carichi di droga. Proprio in riva al mare bandiera blu famosa in tutto il mondo che il sindaco Vassallo amava e cercava di difendere, arrivavano enormi quantitativi di stupefacenti. Il cartello degli Scissionisti di Secondigliano li spediva a bordo di gommoni che salpavano da Castellammare e sbarcavano ad Acciaroli. Da lì, venivano smistati in Cilento e fino in Calabria. Il sindaco lo aveva scoperto e aveva provato ad opporsi con tutte le sue forze. Questo è ormai un dato consolidato in dodici anni di indagini.
«Rifiutò di farsi corrompere». Quattro anni dopo il delitto, l’ex boss della camorra Romolo Ridosso rende alcune confidenze a due investigatori dei carabinieri per allontanare da sé e dal suo gruppo i sospetti di aver recitato un ruolo nell’omicidio. Timori determinati dalle voci sul coinvolgimento nel caso dell’allora sottufficiale dei carabinieri Lazzaro Cioffi, destinato ad essere indagato formalmente solo anni dopo. Ridosso racconta della droga che partiva da Secondigliano. E aggiunge che «dopo aver scoperto» ciò che accadeva al porto di Acciaroli, il sindaco sarebbe stato avvicinato da Raffaele Maurelli, poi deceduto, indicato come il regista del narcotraffico. Ma Vassallo non aveva «ceduto a un tentativo di corruzione per tacere sulla vicenda».
Il sopralluogo. I pm di Salerno nutrono forti dubbi sulle confidenze di Ridosso e del figlio Salvatore, soprattutto nella parte nella quale tendono ad allontanare da sé la responsabilità per l’omicidio. Secondo la Procura, invece, due giorni prima del delitto i Ridosso e l’imprenditore Giuseppe Cipriano, all’epoca titolare di cinema ad Acciaroli e Pollica, effettuarono un sopralluogo per preparare il terreno per l’agguato.
Il depistaggio. Il 5 settembre 2010, un sicario armato di pistola calibro 9.21 uccide con nove colpi il sindaco mentre rientra a casa. Il corpo viene trovato nell’auto con il finestrino abbassato e il cellulare in mano. Le indagini non sono in grado di dire chi ha sparato. Ma scandagliano ciò che è accaduto subito dopo: «Sussistono ragioni – afferma la Procura – per ritenere che, successivamente all’omicidio, sia stata posta in essere un’attività di depistaggio finalizzata ad indirizzare» l’inchiesta su persone «estranee al delitto». Come lo spacciatore italo-brasiliano Bruno Humberto Damiani, indagato e poi prosciolto.
Le telecamere. Senza una delega formale, Cagnazzo e Molaro, in quel momento semplici turisti in Cilento, acquiscono l’hard disk delle telecamere di videosorveglianza del porto di Acciaroli. Non lo fanno, come sempre sostenuto in questi anni, per preservarne l’integrità, ma per «sviare le indagini» e tirare dentro Damiani.
La telefonata. Alle 21.14 del 5 settembre 2010, sul cellulare del colonnello Cagnazzo arriva una telefonata, rimasta senza risposta, proveniente da Molaro. Sono passati due minuti dall’omicidio di Vassallo. Poco dopo quella chiamata, il colonnello e il suo attendente si vedranno a cena. I pm sospettano che il depistaggio possa essere stato «preordinato» ed è per questo che, almeno in questa fase, nei loro confronti viene ipotizzato il concorso in omicidio. Cagnazzo e Molaro erano già stati indagati per il delitto, ma il fascicolo era stato poi archiviato su richiesta della Procura. «Chiariremo l’assoluta estraneità del mio assistito a tutte le ipotesi accusatorie», dice l’avvocato Ilaria Criscuolo, legale dell’ufficiale.
Una foto con dedica. «A Lazzaro, custode della mia serenità e della mia forza! Generale delle truppe, esemplare e leale fino alla morte! Con infinita riconoscenza», scriveva il colonnello Fabio Cagnazzo al suo ex collaboratore a Castello di Cisterna, il brigadiere Lazzaro Cioffi. Lo scatto porta la data del 19 novembre 2010, a poco più di due mesi di distanza dall’omicidio Vassallo. Della foto parla in un’intercettazione del 2018 la moglie di Cioffi, poco dopo il coinvolgimento del marito nell’inchiesta sul delitto e minaccia di «tirare dentro tutta la squadra».
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