Vassallo, quattordici anni di attesa
| di Marianna ValloneQuattordici anni. Questo è il tempo che ci è voluto per vedere un primo passo concreto verso la giustizia per Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica, ucciso a sangue freddo nel 2010. Quattordici anni di attesa e speranza, di incertezze, di vuoti investigativi, di silenzi pesanti che sembrano avere protetto più i colpevoli che la memoria di un uomo che ha lottato per la legalità. Ieri, con l’arresto di quattro persone accusate di concorso nell’omicidio, ci si chiede come sia possibile che un paese che si definisce civile e democratico possa permettersi di lasciare marcire la verità così a lungo.
Angelo Vassallo era un sindaco che viveva in prima linea, impegnato a difendere il suo territorio dalla criminalità, dalla speculazione, dai giochi sporchi di chi vedeva in quel pezzo di costa solo un business. Chi lo ha ucciso, ha voluto spegnere questa voce di speranza, questo “ostacolo” sulla strada di interessi torbidi e inconfessabili.
E adesso, con questi arresti, ci si chiede: quanta verità abbiamo davvero perso per strada? Questi arresti sono il frutto di indagini lunghe e travagliate, di anni di lotte e ostacoli. Ma ci ricordano che, anche nelle vicende più complesse, l’impegno di magistrati e inquirenti può riemergere, dimostrando che un Paese civile non dimentica i suoi eroi, nemmeno dopo più di un decennio. E offre una riflessione più profonda: su quanto sia necessario proteggere chi dedica la propria vita a un ideale più grande, e su quanto l’Italia abbia bisogno di figure come Angelo Vassallo.
Il suo sacrificio richiama alla responsabilità civile, ci impone di essere vigili contro ogni tentativo di corruzione, anche il più piccolo. Oggi più che mai, in un Paese che si confronta con sfide ambientali e sociali sempre più pressanti, il suo esempio non può essere solo memoria: deve diventare azione, impegno per la legalità in ogni angolo del territorio.
©Riproduzione riservata