Voto di scambio, il giudice su Alfieri: «Interessi elettorali con appoggio di ambienti criminali»

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Voto di scambio, il giudice su Alfieri: «Interessi elettorali con appoggio di ambienti criminali»

Nuovi dettagli emergono dall’ordinanza di arresto firmata dal giudice per le indagini preliminari, Annamaria Ferraiolo, in merito alla maxi operazione della Direzione Investigativa Antimafia di Salerno. Il provvedimento ha portato all’arresto di dieci persone accusate di scambio elettorale politico-mafioso, tentato omicidio ed estorsione, gettando luce su un presunto patto tra politica e criminalità organizzata.

Le carte

Secondo quanto riportato nell’ordinanza, “Franco Alfieri, sebbene incensurato, stringeva accordi elettorali con Roberto Squecco, soggetto estraneo agli ambienti che si intendevano contrastare, ma che, durante il suo mandato, contribuiva a perseguire gli interessi economici, anche in contrasto con l’interesse pubblico dell’amministrazione comunale di Capaccio Paestum. In tal senso, Alfieri mostrava una preoccupante propensione e disponibilità a realizzare i propri interessi elettorali, avvalendosi anche dell’appoggio di ambienti criminali di elevato spessore”.

Il giudice sottolinea come, “in occasione dei fatti contestati, Alfieri manifestava una peculiare abilità, ponendo quale condizione per la sua candidatura la partecipazione alle competizioni elettorali di Stefania Nobili, moglie di Roberto Squecco, al fine di conseguire la certezza di un notevole incremento di voti grazie al suo appoggio. Inoltre, in seguito all’inevitabile abbattimento di parte della struttura balneare, assumeva comportamenti concretamente volti a dare attuazione all’accordo elettorale”.

«Capacità di influenzare la politica locale»

L’ordinanza evidenzia che la rete di rapporti politici intessuta da Alfieri fosse talmente radicata da poter essere ancora influente nonostante le dimissioni: “L’avvenuta dimissione dalle proprie cariche politiche non ha eliminato la sua capacità di influenzare la politica locale, in quanto Alfieri maturava sul territorio profondi e ramificati legami politici, spendibili in funzione di interessi scambievoli con gli ambienti criminali”.

«L’abbattimento del lido per rompere i legami»

Per quanto riguarda Roberto Squecco, il giudice sottolinea il suo profilo criminale: “Gravato da numerosi precedenti giudiziari e carichi pendenti, anche per reati di criminalità organizzata, più volte destinatario di misure di prevenzione personali e patrimoniali, mostrava, in occasione dei fatti contestati, una personalità criminale allarmante e una preoccupante propensione alla commissione di atti intimidatori, facendo leva sulla sua appartenenza a contesti criminali legati alla camorra”.

Il giudice evidenzia inoltre che Squecco, pur detenuto e lontano dal territorio, riusciva a mantenere saldo il suo potere: “Nonostante il regime detentivo e la temporanea lontananza dal territorio, era in grado di mantenere e riallacciare forti legami con gli ambienti criminali, come desumibile dai suoi rapporti con Cosentino e De Cesare”.

Lo scambio elettorale politico-mafioso e il Lido Kennedy

Secondo la ricostruzione della Pubblica Accusa, le indagini avrebbero rivelato un «accordo» tra Squecco e Alfieri in vista delle elezioni amministrative del 2019 a Capaccio Paestum. Il patto prevedeva il sostegno elettorale a Alfieri in cambio del mantenimento della gestione del Lido Kennedy, struttura già sottoposta a provvedimenti giudiziari, ma rimasta nella disponibilità di Squecco tramite prestanome.

L’ordinanza ripercorre le vicende giudiziarie di Roberto Squecco, a partire dal suo arresto del 2014: “Squecco Roberto veniva arrestato il 25 settembre 2014 in esecuzione di un decreto di fermo di indiziato di delitto emesso dalla DIA di Salerno il 22 settembre 2014 per partecipazione ad associazione di stampo camorristico e estorsione aggravata, reati per i quali veniva condannato in primo grado”.

Le intercettazioni e le prove raccolte dalla DIA tracciano uno scenario inquietante, dove la criminalità organizzata riesce a infiltrarsi nelle istituzioni locali attraverso scambi di favori e pressioni, minando la trasparenza e la legalità del processo democratico.

La ricostruzione della storia

Per cercare di eludere le intercettazioni, gli indagati utilizzavano spesso il nome in codice ‘Mela Annurca’ per identificare il sindaco di Capaccio Paestum, Franco Alfieri. Secondo quanto raccolto dagli inquirenti, in un punto cruciale delle indagini, quando Squecco realizza che l’abbattimento del Lido è imminente, avrebbe tentato di passare dalle parole ai fatti. Inizialmente avrebbe contattato un operaio rumeno, che sarebbe stato utilizzato come intermediario per arrivare a tre ragazzi che lavoravano a Mercato San Severino, i quali avrebbero potuto mettere in atto un piano per colpire Franco Alfieri.

Tuttavia, Squecco avrebbe poi abbandonato questa pista e si sarebbe rivolto direttamente a pregiudicati di Baronissi, con cui aveva più volte parlato telefonicamente. L’idea era quella di piazzare un ordigno nell’auto di Alfieri, parcheggiata ogni mattina in un’area di servizio lungo la strada che conduce a Agropoli. Alfieri, infatti, lasciava la sua Mercedes per salire sull’auto dei vigili e recarsi in Comune a Capaccio Paestum o in provincia a Salerno. Secondo gli inquirenti, uno dei pregiudicati di Baronissi avrebbe anche cercato di convincere Squecco che, invece di usare un ordigno, Alfieri dovesse essere accoltellato. Nei giorni successivi, continuano i sopralluoghi. Squecco e De Cesare si recano anche a fotografare la targa dell’auto di Alfieri parcheggiata nell’area di servizio.

Il piano, tuttavia, non viene portato a termine, forse per un mancato accordo economico.

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